A Milano 16 operatori sono chiusi da settimane in una Rsa per proteggere gli anziani: zero contagi
Dallo scorso 31 marzo 16 operatori socio sanitari sono chiusi all'interno di una residenza sanitaria assistenziale di Milano, per prendersi cura degli 81 anziani ospiti. E questo loro gesto, unito alle decisioni prese dalla proprietaria della struttura e da alcune accortezze messe in pratica fin dall'inizio dell'emergenza Coronavirus, ha fatto sì che il virus restasse fuori dai cancelli della casa di riposo. Succede tutto alla Rsa Domus Patrizia di via Pier Lombardo, di proprietà della dottoressa Manuela Massarotti e in cui i servizi socio sanitari sono affidati alla cooperativa sociale Virtus, presieduta da Gianni Coppola. Un caso raro, se si considera che i contagi e i decessi di anziani all'interno di strutture analoghe sono stati (e purtroppo continuano ad essere) una tragedia nella tragedia, e che la anche la magistratura ha deciso di indagare su almeno 22 Rsa del Milanese (e altre nel resto della Lombardia), tra cui il noto Pio Albergo Trivulzio.
Padri e madri di famiglia hanno rinunciato a stare con i loro cari
Al contrario, finora nessuno tra gli 81 ospiti di Domus Patrizia è stato contagiato dal virus. "Parliamo di persone fragili, che hanno in media 90 anni", racconta a Fanpage.it il presidente della coop Virtus, Gianni Coppola, che fornisce anche un aggiornamento su ciò che avverrà nella struttura. "Ieri, 20 aprile, i 16 operatori sarebbero dovuti uscire. Invece si sono proposti di rimanere fino al 3 di maggio, e quindi sono ancora all'interno della struttura". I 16 operatori sono single, ma anche padri e madri di famiglia che per amore degli anziani che assistono hanno deciso di costituire una task force che dalla sera del 31 marzo opera quasi ininterrottamente per prendersi cura degli ospiti, senza mai uscire dalla Rsa per evitare le occasioni di contagio e rinunciando così a stare con i loro cari: "Per legge avrebbero diritto allo smonto e riposo se fanno la notte o comunque a un giorno di riposo settimanale, però lei può capire benissimo che stando chiusi là dentro alla fine danno sempre una mano ai colleghi. Sono dei grandi – dice Coppola, orgoglioso dei "suoi" lavoratori – perché è bastato un piccolo spunto e in un paio d'ore erano già tutti pronti per iniziare".
Decisive le decisioni tempestive prese dalla proprietà, che ha blindato la struttura
Lo spunto, l'idea iniziale di costituire una task force è venuta alla proprietaria della struttura, Manuela Massarotti. La stessa che dal 23 febbraio, subito dopo il "paziente 1" di Codogno, ha limitato le visite ai parenti blindando la struttura e ha poi adottato alcune procedure per impedire il contagio: posizionare termoscanner all'ingresso per misurare la temperatura a tutti i lavoratori, imporre l'obbligo di mascherina già all'ingresso. "La struttura ci ha procurato anche il gel disinfettante da utilizzare all'ingresso – dice Coppola – mentre le mascherine le abbiamo procurate noi come cooperativa. Non abbiamo avuto difficoltà: mi sono rivolto ai fornitori o a varie farmacie, certo abbiamo dovuto spendere più soldi, ma è stato meglio così per tutelarci. Siamo stati anche fortunati, ma la cosa più importante è che abbiamo preso sul serio la situazione. Ci siamo comportati tutti come se noi fossimo potenziali ‘untori' e gli ospiti delle persone contagiate".
La proprietaria: Ho resistito a numerose chiamate per far trasferire pazienti Covid
La fermezza della proprietaria della struttura è stata una delle chiavi per impedire che il virus entrasse nella Rsa: "Non tutti i parenti sono stati felici della mia decisione al 23 di febbraio, perché i tempi non erano sospetti – spiega Massarotti a Fanpage.it -. Molti parenti hanno capito, altri un po' meno: c'è stato anche chi si è messo davanti alla porta per un'ora, chiedendo di entrare. Dopo il 7 di marzo, quando è stata bloccata tutta l'Italia, hanno capito tutti". C'è un aspetto, al centro anche delle polemiche sulle altre Rsa, che la dottoressa Massarotti chiarisce: riguarda l'atteggiamento tenuto rispetto alla ormai famosa delibera regionale dell'8 marzo che individuava anche alcune Rsa, dotate di determinati requisiti, come strutture idonee a ospitare pazienti Covid a bassa intensità, per liberare così gli ospedali in quel momento saturi. "Ci siamo opposti a quella delibera, e siamo stati tempestati di telefonate dall'unità di crisi che ci invitava a ospitare pazienti con Covid". Potenzialmente erano due i posti che la struttura avrebbe potuto offrire, "ma in camera doppia e con altre persone. E comunque non avevo percorsi separati: l'ho fatto presente, ma hanno insistito per un bel po' di giorni. Sono stata tempestata da queste telefonate nonostante sapessero che non avevamo i requisiti idonei". Fino alla fine però la dottoressa ha tenuto duro: e la sua fermezza è stata ripagata.