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Università: solo il 40 per cento dei laureati lombardi trova lavoro a un anno dalla laurea

Presentato all’università Bicocca di Milano il rapporto Almalaurea sui laureati italiani. Solo poco meno del 40 per cento di chi esce dai nove atenei lombardi trova lavoro a un anno dalla laurea. Per l’assessore Cristina Tajani sono “necessarie politiche più efficaci a sostegno dell’occupazione giovanile”.
A cura di Francesco Loiacono
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Solo poco meno del 40 per cento dei laureati nelle nove università lombarde trova un'occupazione a un anno dalla laurea. Il dato è emerso durante la presentazione dell'indagine svolta a livello nazionale dal consorzio interuniversitario Almalaurea, presentata giovedì mattina all'università Bicocca di Milano. "Sebbene i laureati delle università milanesi e lombarde mostrino performance occupazionali migliori della media nazionale e le ultime tendenze indichino una maggiore dinamicità del mercato del lavoro, il quadro complessivo che emerge dall'indagine è ancora un quadro in chiaro-scuro – spiega Cristina Tajani, assessore comunale alle Politiche per il lavoro e università -. A un anno dalla laurea, infatti, gli occupati con contratti a tempo indeterminato e lavoro autonomo (lavoratori in proprio, imprenditori, eccetera) sono poco meno del 40 per cento con uno stipendio medio di circa mille euro al mese".

Il 7 per cento dei laureati va a lavorare all'estero

La fotografia dello studente universitario lombardo che emerge dall'indagine Almalaurea è la seguente: età media di 25 anni, un percorso di studi che dura mediamente 4 anni per giungere alla laurea con una voto medio di 101. Il 57 per cento finisce l’università in corso e il 3,5 per cento di chi si laurea è straniero. La "fuga dei cervelli" riguarda solo il 7 per cento: la meta preferita è il Regno Unito, seguito da Francia, Germania, Svizzera, Stati Uniti e Belgio. L’indagine 2014 ha riguardato complessivamente 270mila laureati di 72 università italiane.

"I dati dimostrano come siano necessarie politiche più efficaci a sostegno dell'occupazione giovanile – prosegue l'assessore Tajani – per evitare di disperdere non solo competenze e capitale umano, ma anche risorse investite nella formazione dei giovani di cui sempre più spesso si avvantaggiano i paesi di destinazione dei nostri laureati. Come amministrazione – conclude Tajani – siamo impegnati, insieme alle università milanesi, a rendere attrattiva la città anche per studenti e laureati stranieri e abbiamo dato vita a Welcome Talent, un programma per finanziare progetti d'impresa innovativa promossi da team internazionali che scommettano su Milano come luogo di insediamento di nuovi progetti e di rientro di talenti espatriati".

In Italia

Il rapporto Almalaurea evidenzia come, prendendo come riferimento l'intero territorio nazionale, l’età media alla laurea dei ragazzi italiani sia pari a 26,4 anni, variando tra 25,3 anni per i laureati di primo livello, 26,9 anni per i magistrali a ciclo unico e 27,7 per i magistrali biennali. Su tale risultato incide sicuramente il ritardo nell’iscrizione al percorso universitario, oggi più marcato rispetto al passato. La durata media degli studi è pari a 4,6 anni. Su cento laureati, 45 terminano l’università in corso. Il voto medio di laurea è pari a 102,2, leggermente più alto del dato nelle università lombarde. Anche il tasso di occupazione a un anno dalla laurea è più elevato nel resto d'Italia che in Lombardia: per i laureati triennali è pari a circa il 65 per cento, per i magistrali biennali sfiora il 70 per cento, mentre per i laureati magistrali a ciclo unico il tasso di occupazione è pari a circa il 50 per cento.

Ogni anno la metà dei giovani va al Nord

"L’analisi condotta dimostra che ogni anno le regioni meridionali e insulari perdono circa la metà dei loro giovani migliori a favore del Settentrione", spiega Giancarlo Gasperoni, il curatore del rapporto. "La mobilità territoriale si combina con la mobilità sociale: la prima connota tipicamente giovani con origini sociali culturalmente ed economicamente più avvantaggiate ed esperienze scolastiche più brillanti. Ne rimane vittima soprattutto il Sud, impoverito nel suo capitale umano e ingessato nella sua struttura sociale. Non solo: l'emorragia è cresciuta nel corso dell'ultimo decennio. Si rileva – aggiunge inoltre Gasperoni – una certa mobilità per motivi di lavoro diretto all'estero, alimentato soprattutto da laureati del Nord e in generale più brillanti e meglio formati; la ‘fuga dei cervelli' è oltretutto asimmetrica, non compensata da una capacità di attirare dall'estero capitale umano altrettanto qualificato. Nel complesso si registra dunque un deficit di equità e di efficienza che esige un maggior impegno sul piano dell'allocazione delle risorse".

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