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Somma Lombardo, fece uccidere il marito dall’amante: pensionata condannata all’ergastolo

Una vicenda che aveva scosso la piccola comunità di Somma Lombardo nel 2014 si conclude con la condanna in primo grado di una donna di 70 anni, accusata di essere la mandante dell’omicidio del marito. A uccidere l’uomo sarebbero stati l’amante della donna e un amico: anche per loro, latitanti da anni, è giunta la condanna.
A cura di Chiara Ammendola
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È stata condannata all'ergastolo Melina Aita, la donna accusata di aver fatto uccidere il marito il 12 aprile 2014: la Corte d’Assise di Busto Arsizio presieduta dal giudice Renata Peragallo ha stabilito il massimo della pena per la moglie del pensionato Antonio Faraci, morto a Somma Lombardo, nelle vicinanze di Malpensa, per mano di due uomini, di nazionalità tunisina, Bechir Baghouli e Slaeddine Ben Mida. Anche per loro, entrambi latitanti, è giunta la condanna all'ergastolo. La donna, ultrasettantenne, avrebbe organizzato il tutto in combutta con Baghouli con cui intratteneva da tempo una relazione amorosa e per cui spesso avrebbe procacciato anche soldi e cocaina (Ben Mida avrebbe partecipato in quanto amico di Slaeddine). "Nostra madre non ha fatto nulla, è una donna anziana e malata. Si tratta di una condanna basata solo su indizi", insorgono i familiari della donna, che comunque per ora non andrà in carcere visto che ha 70 anni e soffre di una grave patologia.

Inizialmente gli investigatori avevano ipotizzato si fosse trattato di una rapina finita male: Faraci fu trovato senza vita proprio dalla moglie, tesi sempre portata avanti dalla donna, rientrata in casa intorno alle 21, nella loro villetta al civico 199A di via Briante, sulla strada che porta alla frazione di Maddalena. Il marito era riverso a terra in soggiorno: l'uomo era stato colpito da tre coltellate e da un violento colpo alla testa. Poi dopo una sola settimana ci fu il fermo di Melina Aita, che si è sempre proclamata innocente. A distanza di quattro anni la condanna in primo grado: "Qui è stato ignorato il principio del ragionevole dubbio – il commento di Pierpaolo Cassarà, avvocato della donna – la mia assistita non aveva alcun movente per agire contro il marito. Hanno parlato di una relazione, ma senza prove. La mia assistita è stata sposata per 50 anni e non avrebbe avuto alcun vantaggio nell’ucciderlo. Ricorreremo in Appello". Il giudice disporrà una misura alternativa in attesa che la sentenza passi in giudicato.

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