Prof licenziato perché fece pipì in un cespuglio: mobilitazione sul web
Il caso di Stefano Rho, professore di Bergamo licenziato perché 11 anni fa fu condannato per aver fatto pipì in un cespuglio, ha fatto mobilitare il web e non solo. L'episodio è stato portato all'attenzione dell'opinione pubblica dal Corriere della sera, che in un articolo ha spiegato i contorni della vicenda. Rho, 43 anni, è stato licenziato dalla sua scuola su richiesta della Corte dei Conti per non aver riportato in un'autocertificazione la vecchia condanna relativa ad "atti contrari alla pubblica decenza". In sostanza, il docente, sposato e padre di tre figlie, nell'estate del 2005 fu sorpreso da una pattuglia dei carabinieri mentre faceva pipì in un cespuglio nella valle Brembana perché, come disse ai militari, non c'erano bagni pubblici nei paraggi. Per quell'episodio pagò 200 euro di multa.
Una dimenticanza pagata a caro prezzo
Un prezzo molto più salato gli è costata una piccola dimenticanza: non aver riportato quella condanna relativa a 11 anni fa sull'autocertificazione compilata per il ministero dell'Istruzione nel 2013. Dopo due mesi, da un controllo emerge il "precedente": il dirigente scolastico quando viene a sapere di cosa si tratta censura il docente, ma la Corte dei conti ne impone il licenziamento.
Adesso in tanti chiedono di ritornare su una decisione giudicata paradossale. Su Facebook ha aperto il gruppo "Io sto con il professor Stefano Rho", che conta oltre 1.200 iscritti. Contestualmente sulla piattaforma Change.org è partita una petizione diretta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al ministro dell'Istruzione Stefania Giannini che in poche ore ha già raggiunto oltre diecimila firme: si chiede il reintegro del docente.
Nel Bergamasco sono già una ventina i casi simili
Del caso se ne occuperà anche il Parlamento: il deputato bergamasco Antonio Misiani, del Pd, ha infatti annunciato un'interrogazione parlamentare per chiedere chiarimenti su una vicenda che ha definito "paradossale e assurda" e che, a quanto pare, non è un caso isolato. Come spiega il sindacato Flc-Cgil di Bergamo sul quotidiano L'Eco di Bergamo, dall'inizio dell'anno scolastico sono infatti già una ventina gli episodi che ricordano da vicino quello del professore quarantenne. Il problema è che alcune condanne, quelle col beneficio della non menzione, non vengono riportate dal tribunale nei certificati del casellario giudiziario che ogni cittadino può richiedere. Quando invece la richiesta viene fatta dalla Pubblica amministrazione anche le condanne più lievi vengono riportate. Da qui la discrepanza all'origine di casi come quelli di Stefano Rho. Lui, il protagonista della vicenda, ha intanto annunciato che farà ricorso.