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Covid 19

Primi contagi ad Alzano già il 13 febbraio: le ammissioni in un rapporto dell’ospedale

I primi casi di coronavirus presenti nell’ospedale di Alzano Lombardo già intorno al 13 febbraio, ben prima di Codogno, ma non sarebbero stati effettuati tamponi perché non era previsto dalle linee guida del ministero. Le ammissioni in un rapporto della dirigenza del nosocomio pubblicato dal Corriere della Sera.
A cura di Chiara Ammendola
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Che il coronavirus fosse presente in Italia già prima dell'esplosione del caso Codogno è un'ipotesi portata avanti da settimane: fino a quel 20 febbraio però nessuno ne aveva denunciato la presenza, nessun medico, nessun paziente. Nemmeno ad Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, il cui ospedale è ora al centro di un'inchiesta che vuole accertare cosa sia accaduto nelle settimane dell'emergenza e se vi siano state scelte sbagliate che non sono state in grado di fermare forse il più grande focolaio del nostro paese che ha provocato centinaia di vittime.

I tamponi non effettuati perché non previsti dalle linee guida del ministero

Un focolaio di cui ci sarebbe traccia già intorno al 13 febbraio come spiegato in un dossier della direzione dell’Azienda sociosanitaria territoriale di Bergamo Est a cui ha capo l'ospedale Pesenti Feneroli di Alzano pubblicato dal Corriere della Sera. Un focolaio che vede coinvolti diversi pazienti, tutti con patologie pregresse, che presentano sintomi riconducibili al coronavirus e che provengono da Nembro e da comuni vicini ad Alzano: "Nel periodo compreso fra il 13 febbraio e il 22 febbraio sono giunti presso il pronto soccorso dell’ospedale di Alzano alcuni pazienti che venivano successivamente ricoverati presso il reparto di medicina generale con diagnosi di accettazione polmonite/insufficienza respiratoria acuta", si legge nel rapporto pubblicato dal quotidiano e datato 3 aprile. In quel momento però, spiega la dirigenza ospedaliera, a nessuno di questi viene effettuato un tampone perché "nessuno dei pazienti ricoverati in tale periodo presentava le condizioni previste dal ministero della Salute per la definizione di caso sospetto". In quel momento il coronavirus in Italia nell'immaginario collettivo era per tutti qualcosa di distante: ma così non era.

I malati ricoverati tra gli altri pazienti per giorni

Passano i giorni e intanto alcuni di questi pazienti muoiono: i decessi non sono riconducibili al Covid-19 perché di fatto ad Alzano non è stato ancora identificato come tale. Arriva il 20 febbraio e scoppia il caso Codogno, il primo paziente e la decisione del governo di istituire in pochissime ore una zona rossa: il Lodigiano è schermato. La Val Seriana no. Due giorni dopo ad Alzano iniziano a porsi le prime domande su quei pazienti e quei sintomi sospetti: a quel punto vengono effettuati i primi test ma è tardi anche la direzione dell'ospedale lo ammette, l'epidemia è già scoppiata: "Dal momento del ricovero al momento del sospetto, erano trascorsi alcuni giorni in cui si suppone possa essersi verificata la diffusione del coronavirus all’interno del reparto interessato".

È la famosa notte del 22 febbraio, il giorno dopo, domenica 23 febbraio arrivano gli esiti dei tamponi e non ci sono più dubbi sull'epidemia di Coronavirus: il pronto soccorso dell'ospedale di Alzano Lombardo viene chiuso, a Fanpage.it alcuni famigliari dei pazienti ricoverati hanno raccontato che hanno visto pazienti dimessi senza essere sottoposti a tampone. Una chiusura che dura solo due ore perché, come si legge anche nel dossier riportato dal Corriere della Sera, la decisione di riaprire l'ospedale arriva poco dopo: "Abbiamo provveduto a concertare i provvedimenti con i competenti uffici regionali. Mentre si valutavano le misure opportune, si contattava telefonicamente la centrale Areu e si concordava di limitare i trasporti presso il Ps di Alzano. Tale “blocco” durava circa due ore. Veniva infine collegialmente deciso, con gli Uffici regionali, di garantire l’operatività del pronto soccorso alla luce della riflessione che l’epidemia si sarebbe manifestata in misura tale da non poter consentire di rinunciare a tale punto assistenziale". 

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