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Pedofilia, l’arcivescovo di Milano coinvolto nello scandalo Don Galli: “Sapeva degli abusi”

Le più alte cariche della Chiesa in Lombardia sapevano del presunto abuso sessuale di un prete di Rozzano ai danni di un minore tre anni prima delle indagini della magistratura, ma non hanno mai denunciato l’accaduto.
A cura di Redazione Milano
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Il vescovo Delpini.
Il vescovo Delpini.

Che cosa aspettiamo che ci mettano tutti in galera per pedofilia? Aspettiamo che ci mettano tutti in galera per pedofilia e poi cominciamo seriamente a guardare le cose, va bene, cioè, basta saperlo e ci adeguiamo, però giacché possiamo farlo prima, facciamolo prima”

A parlare sono due preti di Rozzano intercettati dai carabinieri. Un prete della loro parrocchia, don Mauro Galli, è accusato di abusi sessuali su un minore e la magistratura ha messo sotto controllo i loro telefoni. Il caso non è ancora di dominio pubblico, ma nell’ambiente ecclesiastico ha suscitato un polverone, tanto da dover richiedere l’intervento delle più alte cariche della Chiesa.

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È qui nell’hinterland milanese che inizia la vicenda che coinvolgerà l’attuale arcivescovo di Milano, monsignor Delpini, successore di Scola, e l’attuale vescovo di Brescia, Pierantonio Tremolada.

A svelarlo sono gli atti del processo a carico del sacerdote che nella notte tra il 19 e il 20 dicembre del 2011 invitò a dormire nella sua abitazione un ragazzo di 15 anni che frequentava la parrocchia. Stando al racconto del ragazzo – che qui per tutelarlo chiameremo Fausto – in quell’occasione il prete dopo averlo abbracciato avrebbe tentato più volte di sodomizzarlo.

La circostanza emerge al mattino seguente quando il ragazzo inizia a mostrare i primi segni del turbamento per quello che era successo. I familiari si rivolgono allora al parrocco di Rozzano, Don Carlo Mantegazza, che informa monsignor Delpini, all’epoca dei fatti vicario di zona, che si precipita ad incontrare il sacerdote accusato.

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È da questo momento in poi che la storia inizia ad intricarsi. Monsignor Delpini, infatti, invece di denunciare l’accaduto decide di spostare Don Galli nella parrocchia di Legnano, a pochi chilometri da Rozzano, destinandolo sempre alla pastorale giovanile, ossia a contatto continuo con giovani e giovanissimi.

Oggi però la diocesi, attraverso un comunicato pubblicato sul loro sito e ripreso dai maggiori quotidiani nazionali, offre una versione differente dell’accaduto, sostenendo che “né monsignor Mario Delpini, né monsignor Pierantonio Tremolada, né il cardinale Angelo Scola e altri responsabili dell’Arcidiocesi di Milano hanno coperto o insabbiato alcun reato” e che “l’episodio contestato risale al 2011, quando ancora nessuno era a conoscenza di quanto realmente accaduto e soprattutto quando ancora la parola ‘abuso' si manteneva distante dal racconto della vicenda”.

Per queste affermazioni la Diocesi è stata diffidata dal legale della famiglia della vittima. Ci sono numerose prove, infatti, che smentiscono queste circostanze. Prima fra tutte l’interrogatorio del 24 ottobre 2014 disposto dal pm Lucia Minutella nel quale l’arcivescovo afferma: “Il trasferimento da Rozzano a Legnano fu deciso da me in persona”. “Don Carlo Mantegazza – aggiunge Delpini nel colloquio sotto giuramento avuto con gli inquirenti – mi disse al telefono che il ragazzo aveva segnalato presunti abusi sessuali compiuti da Don Mauro durante la notte”.

Quindi già dalla prima telefonata, intercorsa nel dicembre 2011, quasi subito dopo l’accaduto, Delpini viene messo al corrente che il prete è coinvolto in un presunto “abuso sessuale”, ma se non bastasse sarà lo stesso Don Galli che di lì a pochi giorni gli confesserà di aver dormito con il 15enne: “Ha peraltro ammesso di aver dormito con il ragazzo quella notte” – si legge nel verbale.

Nonostante queste evidenze, però, la decisione dell’allora vicario sarà quella di rimettere il prete a contatto con i minori, senza denunciare l’accaduto alla giustizia e senza avviare un’indagine conoscitiva interna, come previsto dalle direttive della Cei. Nel corso dell’interrogatorio con la squadra mobile si chiede:

“Monsignore lei era consapevole che Don Mauro Galli nella parrocchia di Legnano si occupava di pastorale giovanile?”

Delpini: “Sì certo, ne ero a conoscenza”.

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Saranno gli stessi genitori di Fausto a mostrare delle perplessità rispetto a questa decisione e ottengono un incontro il 24 settembre 2012 con Delpini per avere delle spiegazioni. La discussione viene registrata ed oggi è agli atti del processo. L’arcivescovo esordisce ringraziando i familiari per non essersi ancora rivolti ai carabinieri e ammettendo più e più volte che quella decisione era stata presa espressamente da lui: “Ho deciso io”, “La destinazione di Legnano è stata scelta da me”, “L’emergenza è stata gestita da me” – ribadisce. Ma quando un familiare di Fausto gli fa notare che quella decisione poteva mettere in pericolo altri bambini, Delpini traballa:

Delpini: “[…] Io sono molto allarmato di tutto quello che può succedere, perché non è che vivo sulla Luna”.

Familiare della vittima: “[…] Se dovesse accadere un caso analogo, in coscienza, penso che lei avrebbe dei problemi…"

Delpini: "Non solo dei problemi, sono anche molto trepido, perché non mi sento neanche di dire ‘Sono in grado di garantire che abbiamo fatto una scelta che lo mette del tutto al sicuro'".

Familiare della vittima: “È una cosa che io trovo inconcepibile”.

La discussione si accende e va avanti per quasi due ore, fino a che Delpini non ammette di aver sbagliato:

Delpini: "[…] Avendo fondamentalmente stima del giovane prete naturalmente ho dato credito agli elementi che alleggerivano la versione".

Ma a finire negli atti dell’inchiesta è anche un altro importante esponente della curia, si tratta di monsignor Pierantonio Tremolada, nominato pochi mesi fa da Papa Francesco vescovo di Brescia, ma che all’epoca dei fatti era collaboratore della formazione permanente del clero e responsabile dell'Istituto Sacerdotale Maria Immacolata (ISMI), che si occupa dei presbiteri del primo quinquennio di ordinazione, ossia quindi anche di Don Galli.

I genitori di Fausto, preoccupati per le sorti degli altri bambini che entravano in contatto col prete, il 3 agosto del 2012 incontrano anche Tremolada e registrano la conversazione che ora è agli atti del processo. Tremolada rassicura sul percorso avviato da don Mauro e si prende la responsabilità di quello che potrà succedere:

Tremolada: “Non me la sento di dire don Mauro è un pedofilo, cioè questa cosa mi fa un male, perché dico, forse qui c’è qualche cosa, lo dovremmo aiutare sicuramente, però da questo a dire sicuramente è così e quindi noi dobbiamo toglierlo da ogni contatto con le persone, perché altrimenti potrebbe far loro del male, ecco qui c’è quello spazio di valutazione di cui noi ci assumiamo la responsabilità”.

Ma è da questo incontro che emerge il clima che l’attuale vescovo ha creato intorno alla vicenda. La famiglia chiede infatti a Tremolada che cosa era stato detto al decano di Legnano circa il trasferimento di Don Galli in quella parrocchia e che cosa il decano aveva detto ad un altro parroco del paese, don Pietro Re:

Tremolada: "Gli ho raccontato quello che è successo… però questa cosa ce la teniamo per noi…"

Familiare della vittima: "È cos’è che è successo, secondo lei?"

Tremolada: "Questa cosa del letto, gli ho detto ‘te la tieni per te‘, è chiaro che lui a sua volta non può andare a raccontarlo a don Piero Re, sarebbe scorretto! E cioè, abbiamo anche comunque una persona che ha il diritto di non essere buttata in pasto, allora!"

Familiare della vittima: "Perché, don Piero Re, se gli avesse detto la verità avrebbe chiamato noi, l’avrebbe messo in piazza…"

Tremolada: "Io ho una grande stima di don Piero Re, ho una sacrosanta stima. Però a sua volta, don Piero doveva tenere il segreto, e non avrebbe potuto dirlo alle altre persone."

Familiare della vittima: "Guardi, secondo me, la strategia, quella del segreto, non paga.    A questo punto…"

Tremolada: "Voglio dire, però, capite?"

Familiare della vittima: "No, no, è chiarissima…"

L’intento dell’attuale vescovo di Brescia è chiarissimo: la vicenda non deve divenire di dominio pubblico: “Questa cosa del letto, gli ho detto: ‘te la tieni per te’” o ancora “Don Piero doveva tenere il segreto e non avrebbe potuto dirlo alle altre persone”.

Nei mesi successivi agli incontri con Tremolada e Delpini, la famiglia, ancora molto scossa per quanto successo a Fausto e preoccupata da come i responsabili della curia milanese gestiscono don Mauro, inizia una corrispondenza con l’allora arcivescovo di Milano, monsignor Angelo Scola. In una lettera del 13 marzo 2015, Scola allega una nota redatta dai suoi collaboratori, per spiegare lo spostamento di don Mauro.

Dalla nota di Scola, però, la vicenda viene ricostruita in maniera molto diversa da come la raccontano gli stessi protagonisti nei verbali: il trasferimento di don Mauro a Legnano viene fatto risalire a Tettamanzi, predecessore di Scola, e il comportamento di don Mauro viene ritenuto consono addirittura fino al novembre del 2012, quando avviene il suo trasferimento da Legnano in un ospedale di Milano (per impedirgli di vedere minori) e poi a Roma, presso il Pontificio seminario lombardo, dal 1 settembre 2013.

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Queste circostanze sono state subito tutte smentite dalla famiglia. A cominciare dalla più evidente: proprio mentre dovrebbe trovarsi a Roma, Don Galli compare su tutti i telegiornali il 26 luglio 2014 per aver trovato un neonato abbandonato nella cappella dell’ospedale san Giuseppe di Milano. Riportano le cronache di quel giorno che il prete avrebbe avvertito il personale del pronto soccorso prima di toccare il bambino: “Non l’ho voluto toccare temendo di combinare qualche guaio”.

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Mentre Don Galli è a piede libero e salva bambini, Fausto dopo il trauma subito entra in una spirale depressiva che cerca di affrontare con degli specialisti, ma nel frattempo perde due anni di scuola e il contatto con i suoi coetanei. Quando però proverà a togliersi la vita per l’ennesima volta, durante i soccorsi rivela ai carabinieri il motivo del suo gesto estremo e denuncia Don Galli.

Nel frattempo, Delpini e Tremolada, i responsabili del trasferimento e della mancata denuncia di don Galli, fanno carriera, scalando le gerarchie ecclesiastiche. Sarà proprio Papa Francesco a nominarli ai vertici della Chiesa lombarda. Lo stesso pontefice che nel 2015 aveva proclamato l’istituzione, mai avvenuta, di una sezione del tribunale ecclesiastico per giudicare i vescovi che coprono i loro preti per le violenze sui minori.

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Il Vaticano fu anche informato della vicenda dai genitori di Fausto che scriveranno una lettera alla Congregazione per la Dottrina della Fede, denunciando il comportamento di Tremolada e Delpini, e il loro ruolo nell’insabbiamento del caso. La risposta del nunzio apostolico è datata 22 marzo 2016: “Le accuse saranno debitamente esaminate” – vi si legge.

Un anno dopo però, il 12 luglio 2017, Tremolada viene nominato vescovo di Brescia, mentre il 7 luglio è stato il turno di Delpini, promosso addirittura a successore di Scola, arcivescovo di Milano, una delle diocesi più grandi al mondo.

di Sacha Biazzo e Simone Giancristofaro

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