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‘Ndrangheta a Cantù: risse, molotov, gambizzazioni. Condanne per oltre 100 anni

Colpo alla ‘ndrangheta a Cantù, comune in provincia di Como. Condannati Giuseppe Morabito, nipote del superboss omonimo e altri imputati: a tutti contestato il metodo mafioso. Tra il 2015 e il 2016 la banda trasformò il piccolo centro in un parco giochi criminale. Tra gli episodi contestati anche il ferimento di un barista che aveva osato corteggiare la compagna di uno dei condannati.
A cura di Salvatore Garzillo
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Locali distrutti, risse, danneggiamenti a colpi di molotov, un ragazzo gambizzato, un altro quasi ucciso da due colpi di fucile a canne mozze per aver corteggiato la donna sbagliata. Questa storia di violenza è ambientata a Cantù, un piccolo comune in provincia di Como dove la ‘ndrangheta ha messo radici da tempo. Inizia nel 2015 con una serie di episodi che hanno trasformato il centro città nel parco giochi di un gruppo criminale che oggi è stato condannato a pene complessive per oltre 100 anni. Secondo il pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, Sara Ombra, l’aggravante del metodo mafioso è indiscutibile. La corte del tribunale di Como, presieduta da Valeria Costi, ha accolto le richieste del pubblico ministero e ha inflitto la condanna più dura a Giuseppe Morabito, nipote del boss omonimo 85enne detto «U Tiradrittu» (“dalla buona mira”), la cui cattura nel 2004 venne definita dal presidente della Commissione parlamentare antimafia Roberto Centaro “ben più importante di quella di Provenzano”. Il 32enne Morabito dovrà scontare 18 anni per associazione mafiosa e pagare 12mila euro di multa. E dire che nell’arringa finale di due giorni fa il suo difensore Tommaso Scanio aveva tentato di smontare l’accusa con la logica: "Ma ce lo vedete un boss della ’ndrangheta che si abbassa a fare delle risse in discoteca? O che accetta di pagare i debiti con il gestore dello Spazio Renoir per le bevute non pagate? Non basta fare di cognome Morabito per essere accusati di associazione mafiosa".

Tutti condannati gli imputati

Condanne leggermente più basse per altri due imputati ai quali è contestata l'associazione: il 45enne Domenico Staiti (16 anni e 6 mesi con 12mila euro di multa) e il 21enne Rocco Depretis (16 anni e 4 mesi con 11.500 euro di multa). Inferiori ai dieci anni le altre condanne relative a estorsione, rissa, lesioni personali aggravate dal metodo mafioso: 9 anni e 8 mesi con multa da 8.500 euro per il 23enne Antonio Manno e il 24enne Valerio Torzillo; 9 anni e 8 mesi (più 7.500 euro) per il 29enne Emanuele Zuccarello; 7 anni e 8 mesi (più 6.500 euro) per il 26enne Jacopo Duzioni e il 34enne Andrea Scordo; 7 anni (più 6.500 euro) per il 28enne Luca Di Bella. Per Morabito, Staiti e Depretis, inoltre, è stata disposta la libertà vigilata per tre anni al termine della detenzione in carcere. La corte ha anche imposto a Morabito, Depretis, Zuccarello, Manno e Scordo il risarcimento della parte civile Nicolò Allodio (da liquidarsi in separato giudizio), assegnando una provvisionale di 10mila euro oltre al pagamento delle spese.

La rissa in discoteca e la vendetta

Le indagini dei carabinieri partono alla fine del 2015, in particolare dopo la rissa del 4 ottobre alla discoteca “Spazio”. Un gruppo di calabresi imparentati ai Morabito di Africo fanno irruzione e spaccano tutto quello che trovano, i buttafuori riconoscono alcuni personaggi e capiscono che per una volta è meglio evitare di interferire. L’unico a prendere una posizione è il 23enne Ludovico Muscatello, a sua volta nipote di Salvatore Muscatello, anziano boss della "locale" di Mariano Comense. Si oppone al gruppo, riesce perfino a metterlo alla porta e a ferire alla testa uno dei rivali. Sui giornali locali la notizia compare alla voce rissa, a tutti sembra un episodio trascurabile di violenza notturna alimentato dall’alcol. Il quadro diventa più chiaro il 10 dello stesso mese, quando arriva la vendetta. Muscatello è in piedi davanti a una panetteria assieme ad alcuni dipendenti della discoteca, sbucano dal nulla i suoi aggressori, gli sparano sei colpi puntando alle gambe. Vogliono ferirlo, per poco non lo paralizzano.

Il "parco giochi" della banda

Una volta uscito dall’ospedale Muscatello pensa bene di trasferirsi in un’altra zona e lascia di fatto campo libero a Morabito e soci, che da quel momento allargano le loro mire sulla locale di Mariano Comense e si sentono i signori di Cantù. Lo “Spazio”, in particolare, diventa il loro parco giochi: consumazioni gratis, controllo degli ingressi, risse continue. La colonizzazione, come la chiamano gli inquirenti, dura fino all’estate 2016 e trasforma la centralissima piazza Garibaldi nella loro base. Molti dei commercianti della zona preferiscono accettare le angherie per evitare una inevitabile reazione violenta. Nel frattempo gli episodi si moltiplicano. Il 15 ottobre 2015 il titolare del bar “Commercio”, uno di quelli maggiormente presi di mira, trova sul tettuccio della propria auto un proiettile calibro 9, un avvertimento che non ha bisogno di parole. Il 26 novembre membri del gruppo sparano contro l’auto di un altro uomo col quale avevano avuto un diverbio perché le loro auto impedivano il passaggio alle altre vetture.

Il rivale in amore ferito a fucilate

Arriviamo al 10 gennaio 2016, la prima grossa rissa dell’anno. Siamo alla discoteca “Spazio Renoir”, si fronteggiano alcuni indagati e malcapitati clienti. Cinque giorni dopo l’insegna del locale è distrutta con una molotov. Il 31 gennaio ancora una rissa tra i tavolini e la pista da ballo. L’ultimo episodio è anche il più grave, la vittima è Andrea Giacalone, un barista della zona la cui colpa è aver provato a corteggiare la donna di Antonio Manno. Un affronto che deve essere punito col sangue: così il 4 agosto di quell’anno Manno lo ferisce con due colpi di fucile a canne mozze esplosi per strada, a poca distanza dalla solita piazza Garibaldi. Lì dove tutti possano vedere e capire chi comanda.

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