Milano, spaccio a Chinatown: presa la banda delle droghe sintetiche
A Milano c’è una zona rossa che non ha nulla a che fare con il coronavirus. È la Chinatown nascosta, non quella dei bar alla moda e degli studi di architettura pieni di piante grasse. È la Chinatown dei sottoscala, dei K-Tv, dei locali del karaoke dove entrano solo cinesi o quasi, dove gli italiani sono un caso. Questo pezzo di città non compare in nessuna guida, segue un altro ritmo, e anche le droghe hanno un nome, un colore e un effetto diverso. La cocaina c’è, quella c’è sempre, ma la regina si chiama shaboo, è una metanfetamina in cristalli che si fuma in una pipetta. Una dose è da 0,1 grammi e, in proporzione, è dieci volte più potente della coca.
Le pasticche col logo della Rolex
È in questa Chinatown sempre aperta che si muoveva la banda capeggiata da YongJian Wu, 32 anni e un soprannome dal suono tenero che mal si concilia alla sua fama da duro: Dapi. Il suo volto non dice niente, il suo nome ancor meno, eppure da almeno dieci anni è un temuto e rispettato pupillo della criminalità cinese. Un titolo guadagnato sul campo, come quella volta (a poco più di 20 anni) che lo arrestarono per detenzione di un Kalashnikov.
Dapi era a capo di un piccolo gruppo che riforniva la piazza milanese di droghe sintetiche di ogni tipo. Shaboo, certo, ma anche ketamina ed ecstasy. Le “sue” pasticche erano rosse con impresso il logo della Rolex, una firma che assicurava la qualità della merce. Bella vita sempre, anche sulla “pasta” da buttare giù.
Gli agenti della Squadra mobile di Milano hanno arrestato lui e i tre complici cinesi al termine di un’indagine durata quasi un anno e che ha portato al sequestro di 900 grammi di marijuana, 305 grammi di ketamina, oltre 2mila pasticche e 800 grammi di shaboo. Sì sembrano pochi, neppure un chilo, ma ricordiamo che una dose è 0,1, quindi parliamo di 8mila dosi, ognuna delle quali venduta tra i 35 e i 50 euro. Il calcolo è semplice: il valore oscilla tra 280mila e 400mila euro. Solo per lo shaboo e solo per un carico.
L'indagine partita dalle estorsioni
L’indagine della sezione criminalità straniera, diretta da Vittorio La Torre, è partita a margine di un’altra vicenda denunciata da un pr cinese costretto a versare costantemente la tangente a una banda di connazionali per organizzare serate in discoteca. Una storia di violenza e minacce continue, il cui culmine era stato un raid vandalico che aveva devastato un locale proprio durante una delle serate organizzate dalla vittima. Nel marzo scorso l’indagine aveva portato all’arresto di 3 persone per estorsione ma dalle intercettazioni era emersa la pista dello spaccio.
La banda usava poco le conversazioni telefoniche, la maggior parte delle comunicazioni avveniva tramite WeChat, l’app di messaggistica della comunità cinese. Le chiamate sono state però sufficienti per ricostruire un quadro dell’organizzazione, poi confermato da un’attività di appostamenti, sopralluoghi e pedinamenti.
I pusher invisibili
È risultato chiaro che Dapi era il capo, era lui a fare gli ordini ai grossisti. Gli investigatori non sono riusciti a risalire alla sua fonte, si sono dovuti accontentare di delineare la catena verso il basso, da Dapi ai consumatori. La droga finiva per lo più a cinesi e filippini, in minor misura ai sudamericani e in parte davvero residuale a qualche italiano vicino a una delle due comunità, o per amicizia o per legami sentimentali. Durante i mesi di indagine sono stati arrestati in flagranza 4 cinesi e un venezuelano che faceva da intermediario per i clienti latini. Nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita la notte scorsa, invece, ci sono altri 3 nomi oltre a quello di Dapi: il 25enne YingHao Fu (che aveva il ruolo di gestire i corrieri), il 24enne JunHong “Tao Tao” Zhou, e il 23enne XianYao “Davide” Wu (entrambi cavallini). Quattro invisibili nella città invisibile.