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Milano saprà riprendersi dall’ubriacatura dell’Expo?

Chiudono i cancelli dell’Expo di Milano. Si spengono le luci dell’Albero della vita e dei padiglioni. Finisce quella che è stata una colossale ubriacatura lunga sei mesi. E la domanda adesso è: Milano saprà riprendersi?
A cura di Francesco Loiacono
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Ci siamo: chiudono i cancelli dell'Expo di Milano. Si spengono le luci dell'Albero della vita e dei padiglioni. Finisce quella che è stata una colossale ubriacatura lunga sei mesi. Non solo in senso negativo, sia chiaro: ma è innegabile che tutto, nell'ultimo periodo, a Milano sia stato ricondotto all'Expo. Un evento che ha smosso 1,3 miliardi di euro (di soldi pubblici), capace di mettere su una vera e propria macchina da guerra fatta di comunicazioni incessanti, eventi collaterali, sponsorizzazioni spesso fuori luogo (vedi i convegni sulla famiglia naturale della Regione Lombardia).

All'Expo è mancato l'equilibrio

Un evento nel quale ciò che è mancato, alla fine, è stato l'equilibrio. Sia da parte dei critici, sia degli "Expottimisti", nei prezzi dei cibi offerti nei padiglioni così come nelle interminabili code che hanno contraddistinto – e non è un bene, a parere di chi scrive, ma anche del Codacons che chiede il rimborso per i biglietti non sfruttati – l'ultimo mese dell'evento. Ma la frenesia, a ben vedere, è stato il minimo comun denominatore anche nei giorni che hanno preceduto l'inaugurazione di Expo: i lavori finiti all'ultimo – e in alcuni casi anche dopo – con i costi di conseguenza lievitati. Come quelli per la bonifica dei terreni, che adesso pendono come una spada di Damocle sul destino dell'area di Rho-Pero nel dopo-Expo.

Il rischio del post-sbornia

La mancanza di equilibrio è, a ben vedere, il sintomo più evidente di ogni ubriacatura. Quella di Expo, collettiva, adesso è terminata. Ma il rischio è che, circondata dall'improvviso silenzio, priva dei continui riferimenti all'Expo, all'Evento planetario, Milano si ritrovi in pieno nei sintomi del post-sbornia. Senza un'idea precisa su cosa fare. Con quell'apatia e quell'annebbiamento del quale qualcuno potrebbe approfittare. Perché, si sa, la nebbia è condizione ideale per chi vuole fare loschi traffici. La parte più vulnerabile della città è adesso proprio l'area da oltre un milione di metri quadri che è stata calpestata, secondo quanto riportano i numeri ufficiali, da oltre 20 milioni di persone. Improvvisamente non ci sarà più nessuno. Un silenzio che sarà compensato solo dagli operai che a partire dal 2 novembre smonteranno i padiglioni, a parte poche strutture che resteranno a testimoniare questi ultimi sei mesi.

Una nuova Cattedrale nel deserto?

In tanti iniziano a pensare con insistenza a tre parole: "Cattedrale nel deserto". Un male che ha da sempre afflitto il nostro Paese dopo eventi planetari, come ad esempio i Mondiali di calcio del 1990. Milano non se lo può permettere, ma per farlo deve riprendersi alla svelta dalla sbornia. Più di un mese è già passato da quando si è iniziato a parlare dell'assetto della società Arexpo, proprietaria dei terreni, e del possibile ingresso del governo nella stessa società. Più di un mese, ma ancora nessun passo in avanti. E in compenso si materializzano cifre, come i costi delle bonifiche lievitati a 74 milioni di euro, che rischiano di tenere lontani i possibili investitori. Non si sa ancora cosa sarà costruito: il commissario unico Giuseppe Sala ha rilanciato l'idea di un campus gestito dall'Università Statale e Politecnico, una sorta di Silicon Valley all'ombra della Madonnina. Un'idea promettente, ma sulla quale grava l'incognita del tempo: Expo deve riconsegnare i terreni ad Arexpo entro giugno del 2016. La frenesia che ha contraddistinto fin qui l'Esposizione universale continuerà, o subentrerà quella rilassatezza tipica del dopo-sbornia?

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