Milano, polemiche per il possibile ingresso dei sauditi nel Consiglio di amministrazione della Scala
Da giorni tiene banco, a Milano e non solo, una polemica sul possibile ingresso di un rappresentante del governo dell'Arabia Saudita (o di una compagnia dello Stato arabo) all'interno del Consiglio di amministrazione del Teatro alla Scala di Milano, il "tempio della lirica" famoso in tutto il mondo. Sono diversi i piani che si intrecciano in questa vicenda: uno è relativo all'opportunità di un investimento sicuramente allettante da un punto di vista finanziario (si parla di un finanziamento di 15 milioni di euro spalmato su cinque anni), ma che consentirebbe l'ingresso nel Cda di un'istituzione culturale simbolo dell'Italia nel mondo di un Paese che sul fronte del rispetto dei diritti umani ha sicuramente più di un problema. Il secondo punto è politico ed è suddiviso in più domande: chi ha favorito la possibile intesa tra la Scala e i sauditi? E quali sono le posizioni in merito dei principali partiti? Sempre nell'ambito della politica rientra lo scontro, l'ennesimo, tra il sindaco di Milano Beppe Sala e il governatore della Lombardia Attilio Fontana sulla questione. Il primo attende di conoscere i dettagli dell'accordo per pronunciarsi: avrebbe subordinato il proprio sì alla decisione unanime del Cda, che potrebbe arrivare nella riunione straordinaria del prossimo 18 marzo. Il secondo si è detto contrario all'ingresso dei sauditi, sposando la posizione del leader della Lega Matteo Salvini.
Come funziona il Teatro alla Scala
Prima di addentrarsi nelle tante questioni che il possibile ingresso dei sauditi ha sollevato, è bene spiegare brevemente come funziona il Teatro alla Scala. Il "tempio della lirica" è una delle 14 fondazioni lirico-sinfoniche d'Italia, cioè enti autonomi a cui lo Stato riconosce la personalità giuridica di diritto pubblico. Dal 1996 la Scala (come gli altri enti lirici) è stata trasformata in una Fondazione di diritto privato, per aprirsi ai finanziamenti privati in aggiunta a quelli pubblici. Fondatori di diritto della Scala sono lo Stato, la Regione Lombardia e il Comune di Milano. A questi si aggiungono i fondatori pubblici permanenti (la Città metropolitana di Milano e la Camera di commercio di Milano, Monza e Brianza e Lodi), fondatori permanenti (società come Eni, Fininvest, Allianz, Pirelli, Enel, Banca popolare di Milano e Fondazione Cariplo), fondatori sostenitori (come Intesa Sanpaolo) e fondatori emeriti.
Il Cda della Scala
La governance della Scala prevede un presidente (il sindaco di Milano), il consiglio di indirizzo (Consiglio di amministrazione), il sovrintendente (Alexader Pereira, nominato dal ministro per i Beni e le attività culturali su proposta del Cda) e il collegio dei revisori dei conti. Il sovrintendente può scegliere di farsi affiancare da un direttore artistico e da un direttore amministrativo. Nel Cda trovano posto membri designati dai fondatori pubblici e dai soci privati che versino almeno il 5 per cento del contributo erogato dallo Stato. I consiglieri nel caso della Scala sono otto per via di una forma organizzativa speciale riconosciuta dal governo: sono Giovanni Bazoli (presidente emerito di Intesa Sanpaolo e rappresentante della Fondazione Cariplo), Philippe Daverio (in quota Regione Lombardia), Claudio Descalzi (amministratore delegato dell'Eni), Alberto Meomartini (ex presidente di Assolombarda), Aldo Poli (in rappresentanza della Banca del Monte di Lombardia), Giorgio Squinzi (ex presidente Confindustria) e infine Francesco Micheli e Margherita Zambon (rappresentanti del ministero dei Beni culturali e quindi del governo).
Lo scontro tra Sala e Fontana
Esaurita la breve panoramica sulla governance della Scala, entriamo nel merito della questione "araba". Stando a quanto ha scritto il sindaco Beppe Sala lo scorso 10 marzo, il Cda della Scala avrebbe discusso della questione lo scorso 11 febbraio. La vicenda è però stata tenuta in sordina, a quanto sembra proprio su richiesta di Sala, almeno fino a quando il sovrintendente Pereira ne ha parlato in un'intervista che ha poi dato il "là" alle polemiche. Pereira nella sua intervista ha infatti tirato in ballo la politica, sostenendo che ad avvicinare i sauditi sarebbe stato Max Ferrari, consigliere del presidente della Lombardia Attilio Fontana. Sia il governatore lombardo sia lo stesso Ferrari lo hanno seccamente smentito: "Le relazioni con i sauditi non nascono certo con la Lega o con Max Ferrari – ha scritto Fontana su Facebook – È una fake news, insinuata dai titoli di una intervista a Pereira fatta poi circolare sui social". Sala ha replicato dando del "furbo" a Fontana: "Più di uno non resiste alla tentazione di partecipare al gioco del ‘io non c’ero e se c’ero dormivo'. Fontana dice che non ne sapeva nulla. Presidente, ci spieghi una cosa. Visto che (è tutto verbalizzato) il CdA della Scala dell’11 Febbraio ha discusso della questione e che la Regione ha una rappresentante nel CdA, come faceva a non essere al corrente di una questione così delicata? Delle due l’una. O il suo rappresentante in CdA non ha compreso una comunicazione così importante e rilevante per Milano e la Lombardia e non la avverte, e allora lo revochi immediatamente, oppure lei fa il furbo. Chissà…".
Tante le voci critiche all'accordo
Da quando la vicenda del possibile ingresso dei sauditi nel Cda della Scala è divenuta di pubblico dominio sono state tante le levate di scudi da parte della politica. Un fronte bipartisan contrario all'operazione, anche se anziché una figura governativa, nel Cda dovesse sedere il rappresentante di un'azienda saudita: "Permango assolutamente contrario all'ingresso dei sauditi nel Cda del Teatro alla Scala di Milano anche se ciò avvenisse tramite la compagnia nazionale petrolifera Saudi Aramco – ha scritto ad esempio il consigliere comunale di "Milano progressista" (lista di maggioranza) David Gentili – Per una monarchia assoluta com'è l'Arabia Saudita, una differenza significativa non esisterebbe". Anche il Pd e l'Anpi sarebbero contrari all'ingresso dei sauditi. Ma le critiche più nette arrivano da destra: il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri ha presentato una interrogazione al ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli per sapere "quale sia la valutazione del governo" sull'argomento, esprimendo perplessità sull'operazione. Un'altra interrogazione parlamentare è stata presentata dal deputato della Lega Alessandro Morelli, che è anche capogruppo del Carroccio a Palazzo Marino: "Sala sta cercando di tenere in sordina un'operazione che squalifica il primo teatro del mondo", ha detto Morelli che è deciso a chiedere il licenziamento in tronco di Pereira.
Le voci favorevoli
Non mancano le voci favorevoli all'accordo: tra gli altri ci sono l'ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, primo presidente della Fondazione teatro alla Scala, il giornalista e scrittore Corrado Augias, l'imprenditore ed ex senatore di centrosinistra Franco Debenedetti, oltre naturalmente ad Alexander Pereira, in scadenza di mandato e forse desideroso di concludere la sua esperienza con un cospicuo finanziamento per le casse del teatro. La posizione del ministro Bonisoli è invece improntata alla prudenza: il ministro ha fatto capire che non è contrario al finanziamento saudita, ma non vorrebbe invece che un esponente di un altro governo entrasse nel Cda, organismo controllato dal ministero, per evitare possibili incidenti diplomatici. Bonisoli, rispettando l'autonomia della Fondazione, ha comunque lasciato al Cda (dove siedono due rappresentanti del ministero) la decisione: non resta dunque che attendere il 18 marzo.