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Covid 19

Milano, l’ospedale in Fiera finora è un grande flop: solo sei i pazienti ricoverati

Dall’iniziale progetto di 500 posti letto ai 53 attualmente in funzione, con soli sei pazienti effettivi: quello dell’ospedale in Fiera a Milano è un progetto intorno al quale ci sono tanti punti di domanda. Intanto i medici puntano il dito contro la scelta di creare una struttura distante dagli ospedali delle province attualmente sotto stress per l’emergenza coronavirus: non sarebbe stato meglio potenziare le strutture già esistenti?
A cura di Chiara Ammendola
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È uno strano caso quello dell'ospedale in Fiera a Milano dove ad oggi i pazienti ricoverati sono sei, fino a ieri erano la metà, mentre entro questa sera ne arriveranno altri due, per un totale di otto. "Tutti i nuovi pazienti hanno un'età compresa tra 60 e 70 anni – si legge nella nota inviata dalla regione Lombardia – si tratta di 3 uomini e 2 donne e provengono tutti da aree della Brianza". Insomma i pazienti ad oggi ricoverati provengono di fatto dalla Brianza che conta secondo l'ultimo bollettino aggiornato 3.424 contagi, non da Milano, la città con più casi in tutta la Lombardia (12.748), né da Bergamo e Brescia, province dove i contagi superano i 10mila e che di fatto sono tra le più colpite dall'emergenza coronavirus.

Il progetto iniziale nato in piena emergenza prevedeva 500 posti

Cosa ne è stato di quell'ospedale che doveva essere un polmone per l'intera Lombardia? Dati alla mano le terapie intensive degli ospedali delle province lombarde lavorano ancora a pieno ritmo, i ricoveri aumentano quotidianamente ma all'ospedale strenuamente voluto dalla regione Lombardia non arriva nessuno. Il progetto iniziale che prevedeva 500 posti in un hub costruito per essere un punto di riferimento per l'emergenza sanitaria e non un lazzaretto è stato poi ridotto ad una capienza di 200 posti letto. Ad oggi però i posti letto disponibili e in funzione sono 53 nel Padiglione 1 mentre i lavori al Padiglione 2 continuano per mettere a disposizione nei prossimi giorni altri 104 posti. Un progetto costato 21 milioni di euro e che fa fatica a posizionarsi in quella che lo stesso assessore al Welfare Giulio Gallera ha definito "la bomba atomica" che ha travolto la Lombardia.

I dubbi sul grande progetto della regione Lombardia

La domanda sorge spontanea: perché? Il personale non manca anche se non è abbastanza, stando a quanto dichiarato dal Policlinico, che ha in carico la gestione, nel Padiglione lavorano anestesisti, infermieri, medici e operatori socio sanitari per un totale di 50 persone. La Protezione Civile con un bando indetto settimane fa ha raccolto l'adesioni di centinaia di medici senza contare il numero in continua crescita dei volontari provenienti dal resto d'Europa e del mondo: dove sono stati indirizzati? Lo spazio c'è, purtroppo anche i pazienti che continuano i loro ingressi negli ospedali della regione Lombardia. Con ritmo meno pressante, per fortuna, e la speranza è che si continui così, che i pazienti continuino a diminuire giorno dopo giorno. Di fatto però c'è qualcosa che manca, secondo il Policlinico i pazienti sarebbero seguiti nel territorio di provenienza e per questo non avrebbero necessità di un ricovero in Fiera, per i medici invece respiratori e letti non sarebbero sufficienti per mettere in piedi la terapia intensiva più grande del Paese, questo perché è opinione comune che una terapia intensiva non può vivere separata da tutto il resto dell'Ospedale, e qui il Policlinico non è proprio dietro l'angolo.

Costruire una terapia intensiva lontano dal resto dell'ospedale non ha senso

Secondo il cardiologo Giuseppe Bruschi, Dirigente Medico I livello dell’ospedale Niguarda "una terapia intensiva funziona solo se integrata con tutte le altre Strutture Complesse che costituiscono la fitta ragnatela di un ospedale (dai laboratori alla radiologia, della farmacia agli approvvigionamenti, della microbiologia all’anatomia patologica); perché i pazienti ricoverati in terapia intensiva necessitano della continua valutazione integrata di diverse figure professionali, non solo degli infermieri e dei rianimatori, ma degli infettivologi, dei neurologici, dei cardiologi, dei nefrologi e perfino dei chirurghi". Parole che riaprono a quanto chiesto proprio dai medici in piena emergenza: "Perché non potenziare gli ospedali e le strutture già esistenti invece di costruire un grande hub a se stante?". Di fatto questa scelta avrebbe permesso di investire i 21 milioni di euro provenienti da donazioni di privati in qualcosa che poi sarebbe rimasto alla Sanità Lombarda, come terapia intensiva o come struttura da poter riutilizzare in altro modo. Invece si teme in un altro, l'ennesimo, investimento sbagliato nella Sanità Lombarda, e nella costruzione di una nuova cattedrale nel deserto. Il progetto nato in piena emergenza Coronavirus non ha guardato nel lungo periodo ma solo nella richiesta immediata che intanto però cambiava col passare dei giorni lasciando operatori sanitari e presidi ospedalieri a combattere contro un nemico sempre più forte.

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