Milano, il capo della Dda tra indagini e timori: “Le mafie sono già nel business dell’emergenza”
L’emergenza è un grande business e le mafie, come al solito, lo hanno capito prima di tutti. Sanificazioni, smaltimento di rifiuti ospedalieri, onoranze funebri, test sierologici, le mani delle organizzazioni criminali sono già dentro i gangli profondi del sistema economico del Paese che tenta di rimettersi in piedi dopo la pandemia di Covid-19. Più un’area è in difficoltà, più le mafie prosperano, più attività commerciali falliscono, più si allarga la loro copertura sul territorio. "Viviamo un periodo molto delicato, dai sensori che abbiamo, quindi dall’attività investigativa in corso in questo momento, abbiamo sentore che la criminalità organizzata stia cercando di trarre profitto dall’emergenza. Come era prevedibile", spiega a Fanpage.it Alessandra Dolci, capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano e profonda conoscitrice delle dinamiche criminali dei sistemi.
"La Lombardia è il traino economico dell’Italia e quindi offre a tutti, mafie comprese, la possibilità di fare grandi affari. Inoltre il decreto Liquidità e il decreto Rinascita, che prevedono finanziamenti a fondo perduto per piccole e medie imprese, rappresentano per i clan un’occasione per appropriarsi indebitamente di denaro pubblico e in parte assistito da garanzia pubblica". Il meccanismo è semplice: attraverso prestanome vengono rilevate società con libri contabili "sani" per accedere ai finanziamenti. La ristorazione è il canale più battuto e con il fallimento di molte attività a causa del lockdown ci si aspetta un’ondata di passaggi di proprietà.
Il pericolo usura
Confcommercio ha affidato a Format Research una ricerca sull’infiltrazione della criminalità organizzata nelle imprese del commercio e della ristorazione durante e dopo il lockdown: il 10 per cento degli imprenditori è esposto all’usura o a tentativi di appropriazione dell’azienda mentre il 20 per cento degli imprenditori dice di essere molto preoccupato: "È possibile che tra qualche mese potremo stimare un aumento dei casi di usura – continua la Dolci – anche se dall’inizio dell’emergenza non abbiamo ricevuto nemmeno una denuncia. Attendo fiduciosa ma posso anche dire che in 20 anni di lavoro in questo campo mi sono capitate pochissime segnalazioni per usura. Da una parte c’è il timore delle ripercussioni, dall’altra c’è un discorso di convenienza perché in molte occasioni abbiamo trovato imprenditori che prima hanno chiesto aiuto alla ‘Ndrangheta, poi quando si sono trovati schiacciati hanno accettato di commettere qualunque reato per loro".
L'affare dei rifiuti ospedalieri
E infatti le organizzazioni sono molto brave a diversificare gli affari. "Tra i settori di loro interesse – prosegue il magistrato – ci sono le onoranze funebri (molto attive durante il periodo topico della pandemia), ora li vediamo attivi nelle società di sanificazioni, qualcuno dei nostri indagati ha anche manifestato l’interesse per l’acquisto di kit sierologici di dubbia efficacia. Poi c’è il grande classico dello smaltimento rifiuti. E qui si apre un capitolo a parte perché di recente, proprio in conseguenza dell’emergenza, è stato concesso un aumento del 20 per cento della disponibilità di stoccaggio alle aziende autorizzate, che in Lombardia sono circa 3.500. Nei giorni scorsi la Dolci è stata ascoltata dalla commissione parlamentare sui rifiuti proprio per discutere delle misure anti Covid adottate in questa fase. "Ho fatto presente che trovo non giustificato l’aumento di stoccaggio generalizzato di ogni tipo di rifiuti in un momento in cui, presumo, se ne sono prodotti meno. Cosa sicuramente accaduta durante il lockdown".
La normativa distingue i rifiuti speciali ospedalieri, destinati all’inceneritore, rispetto ai rifiuti Covid da raccolta urbana, ovvero quelli che tutti noi produciamo (mascherine, guanti, gel igienizzanti, ecc). Ora questo tipo di rifiuto è considerato indifferenziato e quindi è destinato anch’esso all’inceneritore. "A parer mio – spiega la Dolci – avremmo potuto fare una distinzione tra i rifiuti dei soggetti sicuramente non positivi e quelli certamente positivi, quindi che sono in quarantena o che l’hanno conclusa. Questa distinzione non è stata fatta e trovo francamente eccentrico un provvedimento generalizzato di stoccaggio giustificato dall’emergenza in un momento in cui i controlli saranno sicuramente più rarefatti a causa del distanziamento sociale". Il timore della Dda è che questo possa essere un assist per il traffico illecito di rifiuti: "È una mia previsione – aggiunge la procuratrice – ma spero di essere smentita. Ciò che conta è la tracciabilità di questo tipo di rifiuto affinché non ci si trovi con discariche abusive piene di rifiuti ospedalieri". Cosa accaduta con l’indagine "Feudo" dell’anno scorso, che ha dimostrato il trasporto di montagne di spazzatura nelle discariche calabresi. "Ecco, dobbiamo evitare che questo accada in Lombardia".
Il crimine non si ferma col lockdown
I fascicoli aperti in questo periodo dalla Dda dimostrano che il lockdown non ha bloccato del tutto l’economia, quella criminale ha subìto un rallentamento ma non si è mai fermata. "Il crimine non si ferma col lockdown ma neppure noi – commenta con un sorriso la Dolci -. Nonostante il Covid, nonostante l’incendio al tribunale che ha distrutto l’ufficio gip e quello di sorveglianza, nonostante i vari allagamenti, l’attività investigativa è andata avanti. In questo momento dobbiamo essere più presenti del solito perché ci sono grandi opportunità per la criminalità organizzata e solo la possibilità di mettere sensori ovunque può costituire un freno. Peraltro, una cosa che mi ha molto colpito, è che durante il lockdown abbiamo sequestrato più droga che nei sei mesi dell’anno scorso. Ricordo in particolare il sequestro di un carico di oltre 20 chili di eroina". Per il trasporto sono stati utilizzati i rider delle consegne a domicilio ma più spesso i trafficanti si muovevano di notte per vie periferiche già normalmente poco battute. A sentire il capo della Dda, alcuni dei loro indagati erano assolutamente indifferenti al lockdown, i soldi sono l’unico vero vaccino alla paura del contagio.
Se uno è mafioso lo è sempre. A meno che…
Eppure il timore del virus è stato il grimaldello che ha consentito a molti boss di ottenere misure alternative al carcere. La polemica sui detenuti al 41 bis non si è mai davvero spenta. "Il diritto alla salute è sicuramente quello più importante, quindi è possibile che ci fossero detenuti in condizioni tali da renderli incompatibili col carcere. Ma quelli al 41bis sono sicuramente più protetti degli altri detenuti e molto meno a rischio contagio dei comuni cittadini. Per questo ho trovato criticabili alcune decisioni del tribunale di Sorveglianza". Tra l’altro il primo provvedimento che riguardava un 41bis palermitano, Francesco Bonura, è stato revocato e il destinatario è tornato in carcere. Forse anche questo ha condizionato la percezione dell’opinione pubblica: come si può concedere un tale beneficio e poi ritirarlo dopo pochi giorni per la revisione di un altro magistrato?
"Capisco questa confusione. Soprattutto per i 41bis, il ritorno fisico nel territorio di un mafioso noto e temuto, è veramente forte. Perché, come dico sempre, dalle organizzazioni mafiose si esce solo in due modi: con la morte o collaborando con la giustizia. Non c’è terza via. Per cui se uno è mafioso, lo è sempre. Se non si pente". E il pentimento spesso è solo uno strumento per ottenere una contropartita, ma questa è un’altra questione. La speranza è che "andrà tutto bene" possa funzionare anche per le indagini della Dda: "A chi mi chiede perché faccia ancora questo lavoro dicendomi che tanto la mafia non verrà mai sconfitta, rispondo sempre così: non mi importa vincere o perdere ma combattere una buona battaglia".