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Milano, friggere una cotoletta inquina più di un’auto Euro 0: la ricerca dell’Università Cattolica

Secondo uno studio portato avanti dall’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Brescia, friggere una cotoletta può inquinare più di un’automobile Euro 0, poichè rilascia particolato fine e ultrafine tossico per l’ambiente. La ricerca “Anapnoi, respirare bene per invecchiare meglio” è stata portata avanti per tre anni da medici, fisici, agrari e sociologi.
A cura di Chiara Ammendola
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Friggere una cotoletta inquina più di un'automobile Euro 0. La scoperta che potrebbe mandare in crisi migliaia di estimatori del piatto più rappresentativo della Lombardia ma anche dei più rispettosi ambientalisti, arriva da una ricerca universitaria. I dati sono stati infatti diffusi dall'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano che, insieme con l'omonima sede bresciana, ha dimostrato che cucinare una cotoletta potrebbe causare il rilascio di emissioni di particolato fine e ultrafine tali da provocare danni alla salute. Sì perché quelle particelle, se non aspirate da una normale cappa da cucina o da ristorante, potrebbero inquinare l'aria dell'ambiente in cui vengono diffuse, un po' come accade per le auto. Lo studio proverebbe dunque come anche l'inquinamento atmosferico nelle case possa contribuire allo sviluppo di alcune patologie polmonari nelle persone e in particolare nelle cosiddette fasce deboli come anziani e bambini.

L'obiettivo della ricerca è valutare i danni provocati dall’inquinamento atmosferico nelle case

La ricerca fa parte del progetto "Anapnoi, respirare bene per invecchiare meglio", al quale per tre anni hanno lavorato medici, fisici, agrari e sociologi delle quattro sedi dell'Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano, Brescia, Roma e Piacenza). I dati sono stati presentati mercoledì 3 aprile nell'Aula Capretti dell'Istituto Artigianelli di Brescia. L'obiettivo del progetto era valutare come l’inquinamento atmosferico nelle case contribuisse allo sviluppo di alcune patologie polmonari nella fascia di popolazione più vulnerabile come quella degli anziani. "Il tutto con la finalità di fornire linee guida su adattamenti comportamentali da suggerire per ridurre i rischi e favorire l’healthy ageing di persone sane o già affette da patologie respiratorie", si legge in una nota diffusa dall'Università.

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