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Milano festeggia sant’Ambrogio: ecco cinque leggende su di lui

Il 7 dicembre il capoluogo lombardo celebra il suo patrono, sul conto del quale si tramandano numerose leggende.
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Sant'Ambrogio
Sant'Ambrogio

Il 7 dicembre, come ogni anno, la Chiesa milanese sarà in festa per celebrare il suo patrono, Sant’Ambrogio, grazie al quale la diocesi viene, da sempre, definita “ambrosiana”. Ma sapete proprio tutto sulla vita di questo grande vescovo e teologo, vissuto nel Quarto secolo dopo Cristo, che ha cambiato per sempre il volto della cristianità? Ecco di seguito cinque aneddoti, tra realtà e leggenda, che probabilmente non conoscete.

Un giorno, quando era un bambino molto piccolo, Ambrogio dormiva in una culla nel cortile di casa sua, quando sopraggiunse uno sciame di api. Gli insetti si posarono sul suo viso, entravano ed uscivano dalla sua bocca senza fargli alcun male. La domestica corse per scacciarle, ma il padre di Ambrogio, compreso che si trattava di un evento prodigioso, la fermò. Poco dopo le api si allontanarono dalla vista dei familiari del bambino ed il padre esclamò “se questo bambino vivrà, diventerà qualcosa di grande”. Oggi, Sant’Ambrogio è anche patrono degli apicoltori.

Ambrogio, da adulto, aveva la fama di grande guaritore. Il suo biografo ufficiale, Paolino, racconta che una volta il vescovo guarì Nicastro, un militare ammalato di podagra (una malattia del metabolismo) semplicemente calpestandogli un piede per errore. Non è l’unico caso del genere di cui si tramanda la leggenda. Ad esempio, Ambrogio, in visita a Roma, guarì il figlio gravemente ammalato di uno nobile, mentre a Firenze resuscitò un bambino che era stato posseduto da un demonio.

Divenuto vescovo, Ambrogio volle fortemente che tornassero a Milano le spoglie di Dionigi, suo predecessore, che era morto esule in Cappadocia. Dopo un viaggio durato settimane, passando tra molti pericoli, l’asino che trasportava il feretro si fermò a Cassano d’Adda e non ne volle più sapere di proseguire, perché il peso era diventato troppo oneroso. Sbalorditi da tale prodigio, gli accompagnatori chiamarono sul luogo Ambrogio perché vedesse di persona cosa era successo. Tra la sorpresa e lo sgomento generale, non appena Ambrogio arrivò, Dionigi, che pure era morto da parecchi decenni, si alzò, uscì dalla bara ed abbracciò il suo confratello vescovo. I due fecero una passeggiata lungo a riva del fiume Adda discettando di problemi teologici per lungo tempo, finché Dionigi non ritenne cosa buona e giusta rientrare nella bara e tornare al suo riposo eterno. Il feretro rimase a Cassano ancora qualche tempo prima di essere trasportato a Milano.

Una domenica, nel corso della messa, Ambrogio si addormentò mentre era in corso la prima lettura. I concelebranti ritennero di non poter procedere prima che si fosse svegliato, ma passarono ben due ore prima che qualcuno si azzardasse e provare a farlo. Nel frattempo, tutti i fedeli rimasero in assoluto silenzio. Qualcuno, a quel punto, chiamò al suo nome ed Ambrogio si ridestò, confidando ai suoi collaboratori che non stava dormendo, ma stava partecipando al funerale di un altro vescovo, Martino e che si rammaricava che l’avessero chiamato troppo presto: infatti, non aveva potuto finire di concelebrare il rito funebre.

Un giorno, Sant’Ambrogio incontrò il diavolo ed i due ingaggiarono una terribile battaglia. Il diavolo si era camuffato da uomo, si avvicinò ad Ambrogio e gli ordinò di abbandonare il suo ruolo di vescovo. Il santo lo cacciò via spingendolo ed il demonio, cadendo all’indietro, tornò alle sue usuali sembianze e le corna si conficcarono in una colonna romana della basilica che oggi porta il nome di sant’Ambrogio. Il diavolo si smaterializzò tra fumi di zolfo, ma, ancora oggi, i milanesi possono vedere i due buchi sulla colonna, che si trova nell’atrio della basilica e, se appoggiano l’orecchio, si dice che possano sentire i rumori provenienti dall’inferno.

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