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Marco Carta, la procura ricorre in appello contro l’assoluzione: “Va condannato a 8 mesi”

l pm Nicola Rosato è infatti convinto della colpevolezza del 34enne e ha depositato un ricorso in appello per il caso del presunto tentato furto di 6 magliette alla Rinascente di Milano. Secondo gli inquirenti Carta deve essere condannato a otto mesi di reclusione.
A cura di Enrico Tata
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Marco Carta in tribunale
Marco Carta in tribunale

Potrebbe non finire con l'assoluzione la disavventura giudiziaria del cantante Marco Carta. Il pm Nicola Rosato è infatti convinto della colpevolezza del 34enne e ha depositato un ricorso in appello per il caso del presunto tentato furto di 6 magliette alla Rinascente di Milano. Secondo gli inquirenti Carta deve essere condannato a otto mesi di reclusione perché collaborò al furto commesso dall'amica. Nello specifico staccò e nascose nel bagno le placchette antitaccheggio dei capi d'abbigliamento. Per Rosato il giudice che ha assolto il cantante sarebbe stato "molto indulgente" nel credere alla sua versione. Nonostante i filmati, nonostante i testimoni, il giudice, secondo il pm, avrebbe creduto al racconto reso dagli arrestati anche se "la genuinità delle relative dichiarazioni di Carta e dell'amica è ovviamente inficiata dal rapporto di amicizia e dalla preoccupazione della Muscas per le conseguenze mediatiche della vicenda che potrebbero derivare a Carta". Carta "nega il proprio coinvolgimento, ma non riesce a spiegare quando e in che modo la Muscas avrebbe preso i capi di abbigliamento da lui indossati nel camerino". Secondo il giudice che ha assolto Carta la prova della colpevolezza del cantante era "insufficiente e contraddittoria". Era invece valida, per lui, una seconda versione: fu l'amica Muscas e solo lei a rubare le magliette per fare un regalo di compleanno al 34enne.

Il pm: "Carta ha certamente contribuito al reato"

Per il pm la verità è un'altra: Carta "ha certamente contribuito al reato contestato ponendo in essere anche condotte di rimozione delle placchette anti-taccheggio e l'occultamento delle stesse".  Per questo la sentenza del giudice della VI sezione penale del Tribunale di Milano "risulta gravemente affetta da molteplici vizi e deve essere pertanto riformata".

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