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Covid 19

Locali milanesi con musica dal vivo in crisi, lo Spirit de Milan: “Ci devono sparare per fermarci”

A Milano è piena crisi per i locali che offrono ai propri clienti musica live. A cadere sotto i colpi della crisi imposta dal Coronavirus e dalle conseguenze che ha portato, sono stati già luoghi famosi come l’Ohibò, il Serraglio e il Blues House. Fanpage.it ha contattato Luca Locatelli, ideatore e gestore di un altro locale storico di Milano, lo Spirit de Milan, per discutere della situazione.
A cura di Filippo M. Capra
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"Si combatte tutti i giorni contro qualsiasi tipo di avversario". Risponde determinato Luca Locatelli, ideatore e gestore dello Spirit de Milan, storico locale milanese che tra un piatto caldo e l'altro offre da sempre una cornice musicale live ai suoi clienti, alla telefonata di Fanpage.it. Come tante, forse tutte, le attività simili a quella da lui avviata, anche lo Spirit sta inevitabilmente patendo i danni provocati dall'emergenza Coronavirus. E, dopo la chiusura inaspettata dell'Ohibò, del Serraglio e del Blues House, Milano ha più che mai bisogno che i locali storici che offrono la possibilità a tutti di presentare il proprio repertorio musicale.

Luca, com'è stato ripartire dopo il lockdown? 

La musica dal vivo per noi è fondamentale. Ogni nostra serata si è aperta con la musica dal vivo e la difficoltà che c'è stata ora è relativa alla mancata chiarezza su una condizione di apertura. Ci abbiamo provato con il primo concerto al 6 di giugno ma abbiamo aspettato il 15 per ripartire con la musica. Da noi non è concepibile una serata senza musica live.

I clienti sono tornati in massa o accusano ancora timori da contagio?

Il nostro pubblico, ormai selezionato dagli anni che ci segue, non si è abbattuto più di tanto. Anche se, tra il serio e il faceto, siamo diventati un presidio sanitario, perché le persone arrivano con una faccia e se ne vanno con un'altra. E ce ne è assoluto bisogno, anche per combattere una deriva culturale che è preoccupante.

Da voi vengono organizzate anche diverse serate dove si balla. Con la riapertura delle discoteche all'aperto riprenderà il programma?

Il problema principale è che non abbiamo un'informazione che sia degna di tale nome. Arrivano delle mezza notizie confuse e generiche. I termini li abbiamo imparati a capire ma chi ce li sta dicendo temo che non ne abbia capito il senso. Non ci hanno detto con quali condizioni si può riaprire, se con la mascherina o senza. Se a uno o a due metri. Quindi aspetteremo a ridosso della data e capiremo, ma noi siamo pronti a partire da subito, dobbiamo solo organizzarci in base alle direttive.

Vi sentite tutelati?

Sì, la cassa integrazione che abbiamo fatto anticipando noi i soldi ci ha aiutato a gestire una situazione con tanti dipendenti. Il credito d'imposta sugli affitti sarà un aiuto. Il tema è che per quanto ci siano degli sforzi, l'entità del danno che si genera è talmente grande che non saranno mai sufficienti i contributi per sostenere questo momento. Per ora è più importante poter lavorare al pieno delle nostre capacità.

Siete salvi dalla situazione, quindi?

No, per nulla. Noi facciamo di tutto per creare presupposti per riuscire ad andare avanti bene e ancora non è facile farlo. Fatturiamo al 50 per cento rispetto all'anno scorso, ma i costi non sono cambiati purtroppo.

A Milano hanno chiuso l'Ohibò, il Serraglio e il Blues House. Cos'ha provato leggendo le notizie?

È stato brutto, perché il modello che stiamo proponendo noi per un periodo è stato contagioso con altre realtà che hanno trovato forza per cominciare e proporre serate con musica dal vivo. Dovrebbero aprirne sempre di più di locali con musica suonata all'interno delle zone della città. È un tessuto che manca tantissimo, ci sono musicisti bravi che non hanno uno sbocco. Non c'è spazio per la musica ma Milano ne ha bisogno. Eppure l'ambiente viene maltrattato come nient'altro al mondo.

Lei ha paura che lo Spirit possa chiudere?

No, non c'è alcuna possibilità che chiudiamo. Non è più un'opzione. Sia per carattere che per senso di responsabilità ed è un bisogno che le persone hanno. Non si tratta nemmeno di una condizione economica, è una passione che vogliamo portare avanti. Ci devono sparare per fermarci.

Qual è la vostra missione?

Educare. E promettiamo di continuare così, che mi sembra non banale viste tutte le complicazioni.

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