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La mamma di Hina, la ragazza sgozzata dal padre 10 anni fa: “Perdono mio marito”

A 10 anni dall’omicidio di Hina Saleem, la ragazza pachistana uccisa dal padre a Sarezzo, nel Bresciano, la madre in un’intervista al Corriere racconta il suo punto di vista sulla vicenda: “Hina è diventata simbolo di una storia di integralismo mai esistita”, racconta, difendendo la sua famiglia. E al marito dice: “Giusto che paghi, ma l’ho perdonato”.
A cura di Francesco Loiacono
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La mamma di Hina al tribunale di Brescia durante il processo (Archivo LaPresse)
La mamma di Hina al tribunale di Brescia durante il processo (Archivo LaPresse)

Divenne un simbolo della liberazione delle donne dai precetti dell'Islam. Parliamo di Hina Saleem, la 20enne pachistana che l'11 agosto del 2006 fu sgozzata dal padre Mohammed, che poi la seppellì nel giardino della loro casa a Sarezzo, in provincia di Brescia, in attesa che la madre rientrasse in Italia. Ed è proprio la madre, Bushra, che al blog La 27esima ora del Corriere della sera ha rilasciato un'intervista per chiarire alcuni aspetti relativi alla morte della figlia – "Vivere senza Hina sarà per sempre il mio più grande dolore" – e soprattutto per dire al marito che lei l'ha perdonato e non lo abbandonerà mai.

La mamma: "Hina simbolo di un integralismo mai esistito"

Per la mamma di Hina sua figlia è diventata simbolo "di una storia di integralismo che non è mai esistita". La donna spiega infatti che il marito "è sempre stato un uomo buono e un padre esemplare" e non ha mai obbligato a fare qualcosa nessuno della famiglia. L'omicidio sarebbe avvenuto in un impeto di rabbia, dopo che per l'ennesima volta Hina, che non viveva più nella casa di famiglia, aveva disatteso gli ordini del padre. Non un omicidio a sfondo religioso, dunque: i jeans e i vestiti all'occidentale che per le cronache erano stati determinanti per il tragico destino di Hina non c'entrerebbero niente. E la riprova che il padre della ragazza non sia il fanatico integralista dipinto dalle cronache sarebbe anche nelle motivazioni con cui la Cassazione lo ha condannato a 30 anni di carcere nel 2010: agì "non già su ragioni o consuetudine religiose o culturali, bensì sulla rabbia per la sottrazione al proprio reiterato divieto paterno", cioè per "un patologico e distorto rapporto di possesso parentale", riporta il Corsera.

L'intervista del Corriere restituisce dunque una chiave di lettura del tutto diversa rispetto a quella ormai passata nell'opinione pubblica. Su Wikipedia, dove esiste una voce dedicata a Hina, si legge ad esempio: "è stata una ragazza pakistana uccisa in Italia dai parenti come punizione per non volersi adeguare agli usi tradizionali della cultura d'origine". Ma per una delle sorelle di Hina, Nayab, non è andata così:

«Non è che questo rende meno grave quel che è successo» riflette Nayab, una delle sorelle di Hina. «Ma riconoscerlo vuol dire far giustizia di tante sciocchezze raccontate sulla nostra famiglia. Mi guardi» e fa notare la sua iper minigonna, le calze nere, la maglietta strettissima e le braccia fasciate da un pizzo scuro. «Noi non sapevamo di incontrarla, stiamo arrivando adesso dal carcere dove siamo andati a trovare papà tutti assieme. Vestirei così se davvero lui fosse un integralista fanatico?».

Alla fine, che sia stato un omicidio a sfondo religioso o il raptus di un padre-padrone, quello di Hina resta il dramma di una giovane ragazza strappata alla vita troppo presto.

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