Inchiesta antimafia a Brescia: in manette per corruzione il direttore dell’Agenzia delle entrate
C'è anche il direttore dell'Agenzia delle entrate di Brescia, oltre a un funzionario della stessa agenzia e a due militari della guardia di finanza, tra le persone arrestate in uno dei filoni dell'operazione Leonessa, la maxi inchiesta condotta dalla Direzione distrettuale antimafia con gli agenti della Squadra mobile di Brescia, guidati da Alfonso Iadevaia, e i militari del nucleo di polizia economico finanziaria. L'operazione ha portato a decine di arresti facendo emergere l'impatto degli affari della mafia "in giacca e cravatta" sull'economia al nord. Le cosche lucravano sui crediti d'imposta fittizi, facendo affari d'oro. Uno dei filoni dell'indagine ha scoperchiato anche un sistema collaudato di mazzette per ottenere la connivenza di funzionari della pubblica amministrazione.
Brescia, arrestato per corruzione il direttore dell'Agenzia delle entrate
Il direttore dell'Agenzia delle entrate, Generoso Biondi, e un altro funzionario della stessa agenzia, Alessandro De Domenico, sono finiti in manette per i reati di corruzione, abuso d'ufficio e induzione indebita a dare o promettere utilità. Qui la mafia non è direttamente coinvolta. Quello che emerge è invece un sistema malato che aveva infiltrato la pubblica amministrazione attraverso gli accordi tra professionisti e persone in teoria deputate a controllare. Nei guai sono finiti anche due militari della guardia di finanza, anche loro arrestati perché considerati coinvolti nel sistema corruttivo. A collegare i due rami dell'indagine, quello direttamente legato alla criminalità organizzata e quello sulla corruzione, sono alcuni soggetti, mediatori e commercialisti, che appaiono indagati in entrambi i filoni.
Gli affari milionari delle cosche mafiose con i crediti d'imposta
La cosca mafiosa di matrice stiddara aveva il quartier generale a Brescia e, secondo gli inquirenti, era riuscita a inquinare diversi settori economici attraverso la commercializzazione di crediti d’imposta fittizi per decine di milioni di euro. Allo stesso tempo, però, gli stiddari avevano mantenuto le tradizionali modalità di azione: intimidazione nei confronti della concorrenza e di affiliati ritenuti inaffidabili, protezione agli imprenditori amici, estromissione con la violenza i soci delle azienda in cui investivano.