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Dottor Speranza: l’imprenditore che ha detto no alla ‘ndrangheta rinunciando a un buon affare

Nella maxi inchiesta che ha portato all’arresto a Milano di 34 persone, accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, lesioni, minacce e altri reati tutti aggravati dal metodo mafioso, emerge la storia di un imprenditore che ha rinunciato a un’offerta delle cosche, rifiutandosi così di stringere accordi con la ‘ndrangheta, infiltrata negli apparati istituzionali locali e nei parcheggi vicino all’aeroporto di Malpensa e come sottolineato dalla Direzione distrettuale antimafia, che ha ormai infettato il territorio.
A cura di Salvatore Garzillo
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È l’unico ad aver detto “no, grazie”. L’unico ad aver rifiutato l’offerta delle cosche. L’unico ad aver preferito rinunciare a un buon affare piuttosto che stringere accordi con la ‘ndrangheta. Il suo coraggio è sintetizzato da una frase pronunciata dal capo della Direzione distrettuale antimafia, Alessandra Dolci: “Negli ultimi dieci anni è stato il primo imprenditore a denunciare spontaneamente una situazione simile. Ha registrato conversazioni e incontri fornendoci una grande quantità di materiale utile per capire i meccanismi di estorsione. È una delle poche note positive di questa indagine”. L’arco temporale utilizzato dal magistrato non è casuale, si riferisce alle indagini “Bad Boys” (23 aprile 2009) e “Infinito” (18 agosto 2010), due importanti capitoli nella guerra contro la ‘ndrangheta al Nord in cui erano presenti molti dei nomi contenuti nella nuova inchiesta “Krimisa” che ieri ha portato all’arresto di 34 persone. La mesta conclusione della Dda è che gli arresti non bastano per sanificare un territorio infettato dalla ‘ndrangheta. L’unico vero antidoto è l’onestà delle persone comuni, come il protagonista di questa vicenda. Non scriveremo il nome per tutelare la sua identità ma racconteremo tutti i passaggi della sua storia di integrità e coraggio. Lo chiameremo “dottor Speranza”, perché questo rappresenta.

Speranza è un imprenditore della zona del Varesotto ed è interessato all’acquisizione di un terreno a Ferno (Varese) per la costruzione di un parcheggio. È un imprenditore sveglio, sa che è un buon affare soprattutto perché la chiusura dell’aeroporto di Linate per alcuni mesi aumenterà notevolmente il traffico di aerei e auto. Assieme a un socio si informa, raccoglie informazioni, cerca pareri. Ed è in questo momento che si scontra con l’uomo che prima di lui ha capito il business dei parcheggi e che nell’ombra gestisce gli affari. Emanuele De Castro, 58enne palermitano, condannato nel 2011 per associazione mafiosa e tornato libero il 14 ottobre 2015. È l’uomo di fiducia di Vincenzo Rispoli, al vertice della cosca di Legnano-Lonate Pozzolo, il quale gli ha assegnato il compito di “pianificare e di individuare attività economiche da avviare e attraverso cui riciclare il denaro e le altre utilità provento delle azioni delittuose in riferimento all'intera organizzazione criminale”. De Castro partecipa a due summit (il 16 maggio 2017 e il primo dicembre 2017) assieme a Giuseppe Spagnolo, il referente della cosca Farao-Marincola di Cirò Marina (Crotone), l’uomo che gli ordina di riappacificarsi con Mario Filippelli (condannato nel 2010 per associazione mafiosa e tornato in libertà nell'agosto 2017) in modo da creare “un'unica banda” così da dividere i guadagni destinati a confluire nella cassa comune che serve anche a supportare chi è in carcere. C’è la mano di De Castro e del figlio Salvatore dietro il “Parking volo Malpensa”, il “Malpensa car parking” e il 50% di “Star parkings srls” (ora tutti sequestrati).

La storia del dottor Speranza si incrocia con quella dei De Castro all’inizio di marzo, quando viene assegnata la gestione di uno dei parcheggi a Vanessa Ascione, fidanzata di Salvatore De Castro (in quel momento ai domiciliari). È attraverso la Ascione (finita ai domiciliari) che i De Castro comunicano con l’esterno – anche con un “pizzino” – e recapitano al socio di Speranza un messaggio chiaro: o entrano in società con loro o saranno guai. Non vogliono concorrenza nel territorio e sono pronti a tutto per evitare che l’attività degli imprenditori sani vada in porto. Speranza capisce bene che il terreno è scivoloso e inizia a registrare tutte le conversazioni con un’app installata nel cellulare. È grazie a questa mossa che riesce a documentare la telefonata ricevuta da Gianpaolo Laudani (ora ai domiciliari), consulente dei De Castro, che in un primo momento riferisce l’invito a entrare in società al 33 per cento. Speranza risponde così: “Non è per cattiveria perché, ripeto, io non li conosco. Però non voglio rotture di coglioni e sarebbe stato gradito non avere le rotture di coglioni da parte loro. Però va bene niente dai”. Dopo un po’ Laudani riporta quest’altro messaggio che fa riferimento alle conseguenze nel caso gli imprenditori dovessero proseguire con il loro progetto: “… Lui (Emanuele De Castro, ndr) esplicitamente mi ha detto assolutamente di dirlo, ‘Qualunque cosa viene fatta lì, sono io che vado lì e scasso tutto’”.

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