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Dall’investigatore privato al barista: la banda che faceva saltare i Bancomat “per divertirsi”

In aumento i colpi ai Bancomat del Nord Italia: sarebbero almeno tre le bande responsabili di decine di esplosioni. L’ultimo gruppo arrestato sabato dai carabinieri di Milano, la “banda dello Smile”, era conosciuto dagli investigatori per l’atteggiamento goliardico ma molto professionale con cui affrontava i furti. I componenti della banda sono un investigatore privato, un operaio, il titolare di una ferramenta, un barista e un disoccupato. Ecco che tecniche utilizzavano per far saltare in aria gli sportelli.
A cura di Salvatore Garzillo
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In caserme e commissariati gira da tempo una storia attorno alla banda dei bancomat arrestata sabato scorso dai carabinieri di Milano. Sembra che anni fa, l’auto di una non meglio precisata forza dell’ordine, abbia incrociato sull’autostrada di Bologna un’Audi di grossa cilindrata con a bordo quattro uomini. La vettura ha rallentato in modo da essere affiancata e dall’interno hanno mostrato fogli su cui erano stampati dei grossi “smile” gialli. Subito dopo l’autista è partito a 200 all’ora e ha seminato gli inseguitori nel giro di un minuto.

Prima di essere una banda sono amici, si divertivano a fare questi colpi

È tutta in questo aneddoto la sintesi dello spirito goliardico del gruppo di ladri sorpresi subito dopo aver fatto saltare due sportelli in Lombardia portando a casa un bottino di 91.650 euro. “Sono un operaio di 26 anni, un barista di 41, un investigatore privato di 48, un disoccupato di 49, un titolare di ferramenta di 51. Prima di essere banda sono amici, si divertivano a fare questi colpi”, raccontano i carabinieri del nucleo investigativo di Milano, diretti da Cataldo Pantaleo. “A differenza di altri, non erano mossi solo dai soldi ma dall’adrenalina. Vengono tutti da Bologna, lì c’è una grande tradizione di ‘bancomattari', li chiamano così. Bologna è la capitale, come Cerignola lo è per le bande che assaltano i portavalori e Napoli per i rapina Rolex. Sono le evidenze investigative a dirlo”.

Esplosivo fatto in casa

Il gruppo era affiatato, i ruoli ben assegnati e tutti grandi professionisti con precedenti per lo stesso reato. “Indossavano sempre il passamontagna, una tuta sopra i vestiti e perfino calze sulle scarpe per evitare di lasciare le impronte – spiegano gli investigatori malcelando una certa ammirazione per il lavoro degli specialisti – L’esplosivo da inserire nella “marmotta” era fatto in casa. Usavano una miscela di alluminio, nitrato di ammonio (un comune fertilizzante, ndr) e polvere pirica. L’innesco era generato da una batteria d’auto”.

Le due tecniche più diffuse

A questo punto occorre spiegare che sono due le tecniche più diffuse per far saltare un bancomat: col gas acetilene o con la “marmotta”. Nel primo caso si infila un tubo all’interno della fessura per il ritiro delle banconote e si satura il vano, provocando poi un’esplosione con una miccia. È un’arte raffinata, occorre una grande prudenza. È una roulette russa, quando va bene nessuno si fa male e i ladri vanno via con i soldi, in altri casi il palazzo in cui è installato lo sportello subisce danni strutturali importanti. Ogni tanto ci scappa il morto, come nel 2011 davanti alla filiale della Bpm di Pero, in via Alessandrini 1, dove Antonio Orlando, un 50enne di Potenza, perse la vita dopo aver attivato l’innesco al momento sbagliato. Anche per questo motivo sta prendendo sempre più piede la “marmotta”, ovvero un parallelepipedo in ferro (che somiglia a una spada) nel quale si inserisce l’esplosivo. Si aziona a distanza attraverso un lungo cavo collegato a una batteria per auto o di un trapano, un piccolo contatto e crolla tutto. In un paio di minuti i ladri stanno già scappando col bottino.

Decine di casi negli ultimi mesi

Negli ultimi mesi i colpi con queste due tecniche si sono moltiplicati nel Nord Italia, gli investigatori sono convinti che ci siano almeno tre bande attive. O meglio due, dopo gli arresti di sabato. Lo dimostrano sia le tecniche usate (difficilmente un gruppo è in grado di padroneggiare entrambi i sistemi) sia i tempi e luoghi dei furti. Nella notte tra il 30 novembre e il primo dicembre, ad esempio, ci sono stati tre colpi a distanza di venti minuti. Il primo alle 4 alla Banca Popolare di Lodi in via Marco Polo, a Opera, dove la banda ha usato due bombole di acetilene; a pochi minuti, a oltre 35 chilometri da lì, un’altra esplosione allo sportello della Ubi Banca di via Di Vittorio a Novate Milanese (stavolta con la marmotta); 20 minuti dopo, a metà strada tra i due comuni, qualcuno ha provato con l’acetilene il colpo alla Bpm in via Manzoni di Settimo Milanese. Tutti e tre i casi sono falliti ma in tante altre occasioni i banditi sono andati a segno portando a casa sacchi pieni di contanti.

È successo il 22 novembre scorso alle banche di Melzo e Marcallo con Casone, dove nell’ultimo caso il bottino è stato di 46mila euro. Nella fuga i ladri hanno lasciato in strada ben 13mila che non sono riusciti a raccogliere dopo l’esplosione. E l’elenco è lungo: solo nella notte tra il primo e il 2 dicembre sono state colpite tre banche nell’hinterland di Milano, un altro episodio a Brugherio (Monza), uno a Dalmine (Bergamo), e due a Uboldo (Varese). Più di recente, il 9 febbraio è stata svaligiata con l’acetilene la Bpm di Biassono (Monza), il 22 febbraio lo sportello della stessa banca (sempre con il gas) a Novara, il 9 marzo a Binasco (Milano) ancora con l’acetilene.

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