Dal furto di una Vespa ai traffici di cocaina: chi è Bartolo Bruzzaniti, l’uomo da milioni di euro
Alla fine degli anni Novanta la sua dichiarazione dei redditi era di pochi spiccioli, nel 2010 di 579 euro, nel 2016 è salita a 10mila euro. Certamente meglio ma comunque una vita difficile. Eppure Bartolo Bruzzaniti in realtà risulta proprietario di un piccolo impero immobiliare (e non solo) che negli anni di attività criminale ha mascherato con intestazioni fittizie a prestanomi e parenti. Le magie dei notai non sono bastate perché ieri gli agenti dell’Anticrimine della questura di Milano hanno eseguito un sequestro di beni per 3 milioni di euro. L’elenco comprende la casa di 5 vani in cui viveva a Garbagnate Milanese, 7 immobili (di cui a uso commerciale), un bar, 2 magazzini, 2 box (tutti a Garbagnate Milanese), 3 società e una Audi Q3.
Il curriculum criminale
Bartolo Bruzzaniti è nato a Locri, in provincia di Reggio Calabria, il 2 febbraio 1976, nei suoi 43 anni ne ha trascorsi almeno 9 in carcere ma le due condanne per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga coprono un arco maggiore. Il suo cognome ha un peso specifico importante negli equilibri della ‘ndrangheta e, in particolare, nell’asse delle cosche Morabito – Palamara – Bruzzaniti. Rapporti saldati con matrimoni e legami di parentele acquisite. Sua madre, infatti, è cognata di Rocco Morabito, a sua volta fratello del superboss ‘ndranghetista Giuseppe Morabito detto “o Tiradrittu” (buona mira). Per avere un’idea precisa dell’85enne Morabito, basti pensare alla dichiarazione di Roberto Centaro, presidente della Commissione parlamentare antimafia, al momento della sua cattura il 18 febbraio 2004, dopo 12 anni di latitanza definita "Ben più importante della cattura di Provenzano".
La carriera criminale di Bruzzaniti inizia con una denuncia dei carabinieri per il furto di una Vespa 50 a Bianco (Reggio Calabria). Era il 1991, era ancora minorenne. Lo stesso anno lo indagano per favoreggiamento per aver riferito informazioni sbagliate agli investigatori che indagavano, paradossalmente, in suo favore. Cercavano di capire chi lo avesse ferito a colpi di pistola la notte di Natale ad Africo Nuovo. Lui non parla, consentendo agli aggressori di farla franca. Nel 1997 un’altra denuncia, stavolta per aver partecipato al blocco della circolazione sulla strada statale 106 Jonica, Reggio Calabria – Taranto, "ostruendola con transenne, massi, pali di cemento e con altri ostacoli di varia natura”.
Le cose si fanno più serie nel 2001, quando lo indagano per associazione mafiosa nell’ambito dell'indagine "Sim card" della procura di Reggio Calabria. Avevano scelto questo nome perché al centro dell’inchiesta c’era il possesso di cellulari nelle disponibilità del boss Antonio Pangallo mentre era recluso nel carcere milanese di San Vittore. Con quei telefoni, secondo l’accusa, il boss dava direttive ai “picciotti” per gestire il narcotraffico. La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria aveva svelato una articolata associazione mafiosa che aveva coinvolto 42 persone, oltre a Bruzzaniti e suo fratello.
La prima volta in carcere
La prima volta in carcere è del 2004, l'operazione è della procura di Torino che in seguito lo condannerà a 10 anni e 8 mesi per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Bruzzaniti, assieme a un cugino omonimo di un anno più giovane, aveva provato a vendere 10 chili di cocaina a due ufficiali della Squadra mobile di Torino che lavoravano sotto copertura. La sede scelta per l’incontro era stato il ristorante in comproprietà con la moglie, lo avevano chiamato “Jonio Blu” in onore del loro mare.
Mentre era in carcere è arrivata un’altra condanna di un anno per droga. Questa volta l’indagine è della Dda di Milano e riguarda una rete di spacciatori coinvolti in un traffico con le più potenti famiglie di ‘ndrangheta della Lombardia: i Trovato, i Mancuso e i Papalia.
Scontata la pena nel 2011, per Bruzzaniti è iniziata una nuova vita. Almeno sulla carta. Trova un lavoro come dipendente di una società, una di quelle che secondo gli investigatori dell’Anticrimine è di sua proprietà anche se intestata ad altri. Ufficialmente ha un lavoro onesto, è un uomo diverso.