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Crac San Raffaele, Cassazione conferma la condanna a 9 anni per Daccò

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a nove anni di reclusione per Pierangelo Daccò, faccendiere accusato di concorso in bancarotta nella vicenda del crac dell’ospedale San Raffaele di Milano. Daccò continuerà pertanto a essere recluso nel carcere di Bollate, dove si trova dal novembre 2011.
A cura di Francesco Loiacono
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Ultimo capitolo sulla vicenda giudiziaria del faccendiere Pierangelo Daccò legata al crac dell'ospedale San Raffaele di Milano. La Corte di Cassazione ha infatti confermato la condanna a nove anni di reclusione per l'uomo d'affari, accusato di concorso in bancarotta. La Suprema corte, che si era espressa sul caso già una prima volta chiedendo di rifare il processo d'appello, nella sua sentenza di martedì ha riconosciuto l'esistenza di quel "sistema San Raffaele" ipotizzato dagli inquirenti. Si tratta del sistematico ricorso da parte dell'allora management del San Raffaele alla creazione di fondi neri per soddisfare le proprie esigenze private. I fondi neri sarebbero stati creati con la complicità degli imprenditori che lavoravano in appalto col gruppo ospedaliero fondato da don Verzè, che sovrafatturavano alcuni lavori per poi restituire parte dell'importo maggiorato in contanti o su conti correnti.

Daccò è recluso dal 2011 nel carcere di Bollate

Daccò si trova già recluso dal 16 novembre 2011 nel carcere di Bollate. Era stato condannato in primo grado a 10 anni nell'ottobre 2012 (contro una richiesta di 5 anni da parte della procura): poi la pena era stata ridotta nei due processi d'appello a 9 anni perché venute meno le aggravanti della transnazionalità e dell'associazione a delinquere. I legali di Daccò avevano presentato un nuovo ricorso in Cassazione, che è stato però respinto: per l'uomo d'affari, che avrebbe fatto da tramite tra il San Raffaele e la Regione Lombardia guidata allora da Roberto Formigoni, la condanna è diventata definitiva.

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