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Coronavirus, Boselli (Confartigianato): “Un pezzo di cuore del Lodigiano ha già cessato di battere”

“Un pezzo di cuore del territorio lodigiano ha cessato di battere improvvisamente”. Lo denuncia a Fanpage.it il segretario generale di Confartigianato Lodi, Vittorio Boselli. Nella zona rossa del focolaio italiano di coronavirus, tra Codogno e Casalpusterlengo, sono concentrate circa 150 aziende che fatturano ogni settimana quasi 50 milioni di euro. Dopo dieci giorni di paralisi, e con enormi incognite sul futuro, artigiani e imprenditori vivono giorni di disorientamento e frustrazione.
A cura di Simone Gorla
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"Un pezzo di cuore del territorio lodigiano ha cessato di battere improvvisamente". Sono solo dieci comuni, un territorio di 50mila abitanti nel mezzo della pianura lombarda. Ma nella zona rossa del Lodigiano è concentrata un'area produttiva, tra Codogno e Casalpusterlengo, con circa 150 aziende, anche medio-grandi, che fatturano ogni settimana quasi 50 milioni di euro. La zona è completamente paralizzata da quasi due settimane e rischia di non rialzarsi. Lo ha spiegato a Fanpage.it Vittorio Boselli, segretario generale di Confartigianato Lodi, originario di Codogno. "Quello che abbiamo perso non lo recuperiamo, la nostra speranza è quella di ripartire dal 9 marzo (quando scadrà il decreto del governo ndr), ma siamo nell'incertezza".

Qual è lo stato di salute delle imprese del Lodigiano dopo dieci giorni di quarantena?

La situazione di questi giorni mostra in modo eloquente come le imprese siano il cuore di una comunità. Non ce ne rendiamo conto fino a quando il cuore non cessa di battere. Come succede per le persone, quando il cuore cessa di battere non è detto che l'organismo muoia immediatamente. Allo stesso modo non è detto che l'economia di questi dieci comuni e del resto della zona gialla del Lodigiano muoia, ma certamente siamo in terapia intensiva e ogni giorno che passa aggrava la situazione.

Quali sono le difficoltà maggiori?

Oggi il problema non sono solo i problemi materiali, in termini di mancato fatturato, ma anche la frustrazione generale che percepisco raccogliendo telefonate, mail e messaggi, girando nei comuni e incontrando gli imprenditori. Non sono abituati a stare fermi. Oggi è martedì 3 marzo 2020. In tutto il dopoguerra è mai capitato che in un giorno feriale di marzo nessuno abbia lavorato in un pezzo di territorio italiano?

Quali sono i sentimenti diffusi tra imprenditori e artigiani?

Frustrazione, disorientamento, incertezza. Ma anche volontà di credere che l'8 marzo sia davvero l'ultimo giorno di questa clausura, come indicato nel decreto firmato sabato. C'è anche una forte paura che questo non avvenga. Non sappiamo quanto staremo in terapia intensiva.

Fino a quando le aziende locali potranno resistere?

Tutti speriamo di ripartire dal 9 marzo. La liquidità è bloccata, i costi fissi non sono scesi. Tra qualche giorno le imprese dovranno pagare gli stipendi ai dipendenti, che non hanno potuto lavorare. C'è anche il problema dei rapporti delle aziende con i clienti, che in questo periodo devono rivolgersi ad altri fornitori fuori dal nostro territorio. Non sappiamo se dopo l'emergenza le relazioni riprenderanno come prima.

Avete chiesto alle autorità di poter rimettere al lavoro le imprese con le dovute precauzioni sanitarie?

Certo. Le imprese hanno detto ‘noi vogliamo tornare a lavorare, accettiamo di farlo in forma limitato con i lavoratori residenti nella zona rossa e ci assumiamo la responsabilità di applicare le norme del protocollo sanitario'.

Che risposta è arrivata?

Qualche deroga sparuta è stata concessa dalla prefettura, ma molte richieste sono state respinte e sono poche le aziende che hanno potuto almeno svuotare i magazzini. La prefettura sta processando migliaia di richieste, sia delle aziende che di persone che chiedono di uscire dalla zona rossa per altre necessità. Il decreto formalmente non concede nulla, quindi il prefetto ha responsabilità non da poco già con le autorizzazioni concesse.

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