Colpi “subsonici”, pistola inceppata e tuta a strisce: tutti gli errori del killer di Cernusco
Il killer si è presentato con due pistole, non voleva correre rischi. E ha fatto bene, perché dopo i primi due colpi la sua Makarov 9×18 si è inceppata, costringendolo a passare a una Beretta 9×21 per finire la vittima. Undici colpi in totale, 8 dei quali hanno raggiunto il corpo di Donato Carbone, il 63enne di Taranto ucciso nel box auto della sua palazzina in via Don Milani 17, a Cernusco sul Naviglio. Era il 16 ottobre scorso, in un mese i carabinieri della squadra Omicidi del Nucleo investigativo di Milano hanno individuato mandante ed esecutore materiale: Leonardo La Grassa, trapanese di 72 anni, ed Edoardo Sabbatino, palermitano di 56.
Regolamento di conti tra usurai
Il movente è da ricercare negli affari illeciti dei tre, coinvolti in un giro di usura che al momento non è stato ancora chiarito del tutto. Nell’ordinanza firmata dal gip Natalia Imarisio si parla senza giri di parole di usura, lasciando intendere che la vittima prestava i soldi con gli interessi. L’ipotesi è confermata, secondo gli investigatori diretti da Michele Miulli, dagli assegni in bianco firmati da terze persone trovati in casa della vittima e dai 1.016 euro che aveva in tasca al momento della morte.
L'esecutore
A sparare è stato Edoardo Sabbatino, che ha trascorso 16 anni in carcere per traffico di droga e nel suo curriculum vanta anche un tentato omicidio risalente al 2006. Per uccidere Carbone ha indossato i guanti e ha montato un silenziatore. Non sapeva, però, che per ridurre al minimo il rumore dello sparo erano necessarie pallottole “subsoniche”, ovvero proiettili che non superano la soglia di 330 metri al secondo. Quelli normali, detti “supersonici”, superano tale velocità e infrangendo il muro del suono producono il tipico frastuono dello sparo. Così è avvenuto nel box di via Don Milani. I due spari iniziali hanno riempito l’aria propagandosi all’esterno fino alle orecchie dei condomini. Poi sono arrivati anche gli altri 9 serviti per finire l’obiettivo. I colpi fatali hanno raggiunto il cuore e i polmoni di Carbone.
Sabbatino era entrato nel condominio a bordo di una Opel Corsa rubata a Brescia seguendo l’auto della vittima, quando ha finito il lavoro ha trovato quel cancello chiuso, aveva sbagliato i calcoli nonostante i sopralluoghi del giorno prima. È stato quindi costretto a chiedere a un’inquilina di aprire. Quella donna coraggiosa ha poi salvato nella memoria tre numeri della targa che sono stati fondamentali per rintracciare il killer. Gli stessi numeri registrati anche dal sistema automatico conta-targa installato nelle strade vicine. A incastrarlo davvero, però, è stata la riconoscibilissima tuta nera con strisce bianche orizzontali che indossava durante l’omicidio.
Il mandante
Uscito dal civico 17 Sabbatino ha incontrato poco più avanti il mandante, La Grassa, che si aggirava sull’auto intestata alla moglie per essere sicuro che il complice non avesse bisogno di aiuto. I due hanno bevuto un caffè in un bar di Cologno Monzese e subito dopo Sabbatino gli ha consegnato le armi in un borsone. Due giorni dopo la borsa è stata ritrovata sul letto asciutto della Martesana. Non è stato difficile trovare La Grassa. Nel provvedimento il passaggio è spiegato così: "L’identificazione di La Grassa si è rivelata piuttosto semplice tenuto conto che si tratta di soggetto noto alle forze di polizia e che in data relativamente recente rispetto al fatto omicidiario, aveva scontato un periodo di detenzione domiciliare presso la sua abitazione di Cologno Monzese". Se questo non fosse bastato ad aiutare gli uomini della sezione Omicidi, La Grassa ha usato la Mercedes della moglie per fare i sopralluoghi e la targa è finita nel solito sistema telematico del Comune.