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Bergamo, fermati con 60 chili di khat: prosciolti perché per la legge non era una droga

Un olandese e un romeno sono stati prosciolti martedì dal gup di Bergamo dall’accusa di detenzione di sostanza stupefacente. I due tra gennaio e febbraio del 2014 avevano portato in Italia circa 60 chili di khat, una pianta africana oggi inserita tra le sostanze proibite. Ma all’epoca dei fatti, approfittando di un vuoto normativo per l’annullamento della Fini-Giovanardi, il khat era considerata una semplice pianta.
A cura di Francesco Loiacono
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Erano stati fermati a gennaio e a febbraio del 2014 nell'aeroporto di Orio al Serio a Bergamo con oltre 60 chili di khat, una pianta proveniente dall'Africa contenente sostanze stimolanti e che secondo la legge attualmente in vigore è considerata una droga. Ma proprio nei giorni in cui i finanzieri avevano bloccato i due uomini che trasportavano la sostanza, un olandese e un romeno, indagandoli per detenzione di stupefacenti e sequestrando la pianta, nel nostro Paese si era creato un vuoto normativo sull'argomento per via dell'annullamento della legge Fini-Giovanardi da parte della Corte Costituzionale.

Un vuoto normativo dopo la Fini-Giovanardi

E così martedì, come riporta il Corriere della sera, il giudice per l'udienza preliminare Bianca Maria Bianchi, del tribunale di Bergamo, ha prosciolto i due indagati, in quanto secondo la legge del 1990 tornata in vigore dopo l'annullamento della Fini-Giovanardi la sostanza in questione, il khat, risultava una semplice pianta, nonostante fosse inserita dagli anni Ottanta tra le droghe da parte dell'Organizzazione mondiale della sanità. Non è servito a nulla il fatto che un successivo decreto del governo, entrato in vigore nel maggio 2014, avesse ripreso le linee guida della Fini-Giovanardi sul khat, reinserendola tra le sostanze proibite. La sentenza della Corte Costituzionale aveva infatti dichiarato non più valida la legge anche con effetto retroattivo sugli otto anni nei quali era stata in vigore.

I due stranieri protagonisti della vicenda sono comunque rimasti indagati per quasi due anni prima di essere prosciolti. E così l'episodio, al di là dell'imbarazzo per un vuoto normativo che ha di fatto favorito l'introduzione di una sostanza pericolosa nel nostro Paese, è anche emblematico della lentezza e dell'inefficienza della giustizia italiana.

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