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Assalto al portavalori in autostrada a Lodi, l’errore fatale del commando: “Hanno sbagliato i tempi”

La banda di rapinatori che ha tentato di assaltare un furgone portavalori sull’Autostrada A1 aveva studiato il colpo per mesi ma ha commesso un errore che gli investigatori ritengono da principianti: ha anticipato l’assalto di pochi secondi, un tempo minimo ma sufficiente per consentire all’autista del mezzo blindato di trovare riparo in un’area di servizio. Le indagini su quanto avvenuto tra San Zenone al Lambro e Lodi Vecchio si concentrano sulle “batterie di cerignolani”, specializzati in questi colpi.
A cura di Salvatore Garzillo
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Il tentato assalto al portavalori sulla A1
Il tentato assalto al portavalori sulla A1

"Hanno sbagliato i tempi, incredibile ma è così". Gli investigatori della Squadra mobile di Milano sono perplessi ma non trovano altra spiegazione alla dinamica del tentato assalto al portavalori della scorsa notte tra San Zenone al Lambro e Lodi Vecchio. La banda era molto ben organizzata, ha pianificato il colpo per mesi, si è procurata le auto rubate da dare alle fiamme per creare il muro di fuoco con cui coprire la propria fuga, ha posizionato due escavatori in una strada con accesso laterale all’autostrada per aprire il portellone del mezzo blindato, eppure ha commesso un errore da principianti. Questione di secondi, di poche centinaia di metri, ma fatale.

Il tamponamento troppo affrettato

Secondo quanto ricostruito finora, il portavalori della ditta Battistolli di Vicenza procedeva al centro tra due vetture “staffetta”, la scorta. Trenta secondi prima dell’area di servizio di San Zenone un suv ha affiancato il mezzo tamponandolo lateralmente. L’impatto non sarebbe stato particolarmente violento ma ha comunque danneggiato il cerchione posteriore, facendo sgonfiare lo pneumatico e costringendo l’autista a ripiegare nell’area di sosta. Come ha poi ammesso agli uomini della Mobile, in quel momento non aveva capito che si trattava di una mossa d’attacco, pensava che fosse un banale incidente, e per questo motivo non ha immediatamente chiesto l’intervento della pattuglia della polizia stradale che si trovava proprio nell’area. Anche stavolta è stata questione di attimi: un minuto dopo le guardie giurate hanno visto le fiamme illuminare l’autostrada a circa 6-700 metri più avanti, già nel comune di Lodi Vecchio. A quel punto è stato tutto chiaro.

Il precedente a novembre 2014: nel mirino la stessa ditta di portavalori

Il suv è stato poi ritrovato davanti alle auto bruciate dal resto della banda, assieme a un’altra vettura rimasta intatta. Sono scappati tutti su altri veicoli sparendo nel nulla e a mani vuote, come era accaduto nel novembre 2014 sempre sulla A1 all’altezza del casello di Lodi. In quell’occasione i rapinatori erano entrati in azione alle 6.40 ed erano riusciti a bloccare il portavalori del gruppo Battistolli (ancora loro) che trasportava un carico di 5 milioni di euro ma il sangue freddo dei dipendenti li aveva costretti a rinunciare. Il commando aveva formato una barriera con un camion incendiato all’altezza del cavalcavia della provinciale Livraga-Brembio e a 7 chilometri di distanza nella direzione opposta (verso Piacenza), aveva creato un altro muro di fiamme con un’auto e due autocarri. Avevano sparato con mitra riuscendo a forare le gomme di un portavalori e quando si è fermato lo avevano accerchiato continuando con la raffica. Pensavano che avrebbero convinto gli agenti di scorta ad aprire e ad arrendersi, così non era avvenuto. La security non si era mossa e dopo un paio di minuti i banditi avevano dovuto mollare la presa per evitare l’arrivo della polizia.

Gli specialisti foggiani

Colpi di questo tipo non possono essere improvvisati, ci sono batterie con esperti del settore, professionisti che hanno commesso solo questo reato nella vita. E ciò rende ancora più assurdo l’errore della scorsa notte. I migliori e più famosi assaltatori sono i gruppi di “cerignolani”, sono le indagini e le condanne a dirlo, sono gli investigatori di lunga data a confermarlo. "È una tradizione criminale, una specialità", dicono. Gente con preparazione e rigore paramilitare, armata e pronta a sparare, come il 30 settembre 2016 sulla A12 tra Rosignano e Collesalvetti, nel Livornese: 170 colpi esplosi da Kalashnikov e fucile a pompa in pochi secondi. Nessun morto, nessun ferito, nessun colpo di testa, si entra in azione lucidi, senza l’aiutino della coca. Regole ferree. Il colpo sfuma e successivamente vengono catturati in 10, tutti di Cerignola.

Il 4 dicembre un’altra batteria va a segno a Catanzaro, stavolta svaligia un caveau della Sicurtransport portando via 8,5 milioni di euro. Due anni dopo la Squadra mobile coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia guidata da Nicola Gratteri ferma i 7 responsabili, tutti nati e cresciuti a Foggia. Nel provvedimento si legge che la rapina ha l’aggravante mafiosa. L’ennesima dimostrazione dell’esistenza della “Società foggiana”, che nella letteratura giudiziaria è definita anche “quarta mafia”, un sottogruppo della Sacra Corona Unita che ha tra le sue peculiarità proprio l’assalto ai portavalori.  

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