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All’ospedale di Bergamo due giorni senza morti: “Ma attenti a riaprire tutto da un giorno all’altro”

Arrivano dall’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, diventato il simbolo della lotta al Coronavirus, i primi segnali di miglioramento, con la diminuzione dei pazienti in arrivo al pronto soccorso e i ricoveri in terapia intensiva. Lo spiega il direttore del Dipartimento di Medicina Stefano Fagiuoli che intervistato da Fanpage.it ha parlato di tamponi e test sierologici, ma anche di ripresa economica e riapertura che dovrà avvenire gradualmente e nel rispetto massimo delle norme di sicurezza: “Perché la crisi economica rischia di fare più morti della pandemia ma l’apertura non è un interruttore on/off e non si può pensare di far tornare tutto a com’era prima che iniziasse l’emergenza Coronavirus”.
A cura di Chiara Ammendola
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L'ospedale di Bergamo Papa Giovanni XXIII (Repertorio)
L'ospedale di Bergamo Papa Giovanni XXIII (Repertorio)
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Prove di normalità all'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, diventato uno dei simboli della lotta al Coronavirus, a protezione della città che più ha sofferto la perdita dei suoi cittadini. Da qualche giorno infatti a fronte di un evidente calo nel numero dei contagi (che non sono ancora in negativo) ma soprattutto degli accessi in terapia intensiva il pronto soccorso del nosocomio sta registrando la metà degli ingressi, i cui due terzi sono formati da pazienti non Covid. Si tratta di urgenze che dimostrano però come i cittadini abbiano ripreso a vedere il pronto soccorso come un luogo in cui potersi curare: secondo il direttore sanitario dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo, Fabio Pezzoli, i pazienti che accedono al pronto soccorso presentano traumi, scompensi, problemi cardiaci e di calcolosi. E di conseguenza anche la riorganizzazione interna dello stesso ospedale sta mutando, così come confermato dal dottor Stefano Fagiuoli, direttore del dipartimento di medicina dell'ospedale di Bergamo: si tratta di un modo per ritrovare un'identità in vista della Fase 2 che ci insegna a convivere con il virus e alla quale si dovrà adattare anche la sanità.

Non arrivano più pazienti con gravi difficoltà respiratorie: il virus di fatto sta girando di meno

"Da almeno dieci giorni i pazienti Covid in accesso in ospedale sono nettamente in diminuzione, per questo alcuni segmenti di unità dei reparti sono stati già restituiti alle normali attività – spiega a Fanpage.it il dottor Fagiuoli – l'obiettivo nelle prossime settimane è riuscire a spostare in pazienti in una sola torre, oggi ne sono quasi 300 ma entro fine mese si pensa di riuscire ad arrivare a 150/200 pazienti". Anche i decessi sono in diminuzione secondo Fagiuoli, sarebbero trascorsi infatti almeno due giorni senza dover constatare morti all'interno dell'ospedale: non bisogna cantare vittoria però, i paziente in terapia intensiva sono ancora tanti, poco più di 60, alcuni dei quali ancora in gravi condizioni, che dovranno trascorrere in ospedale ancora molto tempo. La buona notizia però è che ora la tipologia dei pazienti è cambiata: si è passati da patologie respiratorie gravissime a Covid positivi con patologie gestibilissime: "È un dato frutto della curva epidemiologica e del fatto che il virus di fatto sta girando di meno", spiega il medico del Papa Giovanni XXIII.

Test sierologici? Non tutti sono affidabili, bisogna fare attenzione

E in merito a un'apertura della città di Bergamo Fagiuoli spiega: "I numeri sono confortanti in ospedale ma questo non significa che dobbiamo abbassare la guardia. L'apertura dev'essere coscienziosa e saggia, rispettando norme che riducano la possibilità di contagio, è chiaro che per luoghi di lavoro e trasporti e luoghi di incontro la gestione dev'essere gestita con cautela". Però attenzione a parlare di una ipotetica immunità di gregge per la città di Bergamo per la quale al momento non ci sono dati sufficienti: "L'apertura non avrà un interruttore ON/OFF come nel caso della chiusura: non si potrà dire da un giorno a un altro apriamo tutto. In questo senso la sierologia potrà dare una grossa mano". Ma attenzione a quelli che girano la cui affidabilità non è certa, pochi infatti sono stati adeguatamente testati: "Non si può fare affidamento a questa modalità di selezione per dare un patentino a qualcuno – spiega Fagiuoli – gli unici test affidabili sono quelli licenziati dal Policlinico San Matteo di Pavia, tutti gli altri possono essere utilizzati ma non li utilizzerei per discriminare chi può fare cosa". Per quanto riguarda i tamponi invece la strada sembra meno aperta perché di fatto non c'è la possibilità di farlo a tutti e in tempi brevi, fisicamente non ci sono capacità tecniche per fare milioni di tamponi secondo il medico: "In un mondo ideale dovrebbe essere così ma noi non possiamo farlo".

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Una zona rossa in Val Seriana non avrebbe modificato di molto la situazione

E su quanto accaduto in Val Seriana e nella Bergamasca, di fatto la provincia più colpita dai decessi da Coronavirus spiega: "Purtroppo quando c'è stata l'evidenza di alcuni casi riferibili al Covid nella Bergamasca, la diffusione era tale che quel grande cambiamento non sarebbe stato possibile – spiega Fagiuoli – forse qualcuno ha pensato che la Lombardia non abbia saputo gestire l'emergenza ma credo che molti altri abbiano vissuto quanto vissuto dalla nostra regione". Quindi anche la situazione ad Alzano e Nembro sarebbe stata impossibile da gestire in maniera diversa: "In Val Seriana ci sono più di 450mila persone, con l'epidemia già esplosa con diversi focolai nei comuni di quella valle e anche della Val Bremabana isolare una zona così sarebbe stato impegnativo, e comunque non credo che farlo – spiega Fagiuoli – istituire una zona rossa lì, avrebbe modificato molto la situazione: dopo siamo tutti fenomeni, non guardiamo alle piccole realtà ma guardiamo a quanto accaduto anche negli altri paesi, guardiamo New York, guardiamo la Spagna, guardiamo anche l'Inghilterra. È accaduto anche altrove".

Non lasciamo che la crisi economica faccia più morti della pandemia

Decessi inevitabili quando si parla di una pandemia secondo il dottor Fagiuoli, anche se fa male: "Gli unici che sono riusciti ad avere un contenimento, anche se i numeri che ci sono stati forniti non abbiamo certezza che siano quelli reali, di fatto sono quelli con governi autoritari – spiega – la soluzione di una pandemia di questo tipo non è di pertinenza ospedaliera o sanitaria, ma la soluzione è l'isolamento personale, e l'equilibrio con il quale viene messo in atto. Se alla fine di una pandemia di questa portata invece di avere milioni di morti ce ne saranno migliaia non sarà mai una vera sconfitta, anche se io come medico non sarò mai contento anche solo di un decesso", conclude Fagiuoli. Ora bisogna pensare alla riapertura per evitare che la crisi economica faccia più morti della stessa pandemia.

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