Terrorismo, pugile arrestato: “Volevo andare in Siria solo per aiutare i bambini”
Si difende Moutaharrik Aberrahim, il campione di kick boxing arrestato con altre cinque persone per "partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo internazionale". Residente a Varese da molto tempo, cittadino italiano di origine marocchine, è stato ascoltato assieme alla moglie Salma Bencharki dal gip Manuela Cannavale. Identica la linea di difesa dei coniugi: la loro unica colpa sarebbe stata quella di straparlare al telefono, ma nessuno dei due aveva davvero intenzione di diventare un martire, di unirsi all'Isis, di partire come foreign fighter. In Siria ci volevano davvero andare con i due figli di 2 e 4 anni, ora affidati ai nonni paterni, ma solo "per aiutare la popolazione e i bambini colpiti da una guerra".
"I miei assistiti – ha sottolineato l’avvocato Francesco Pesce – hanno spiegato ai magistrati che sono cresciuti in Italia e non vorrebbero mai fare seriamente del male a nessuno". Aberrahim non avrebbe avuto nessuna intenzione di entrare nelle file dell'Isis. "Le cose che ho detto le ho dette per rabbia, le guerre sono terribili e fanno più vittime tra chi non c’entra. Non mi farei mai saltare in aria, non farei mai del male a gente con cui sono cresciuto". E proprio sul profilo dei due punta Pesce per chiederne la scarcerazione: "I miei assistiti sono cresciuti in Italia, dove si trovano da 16 anni, sono integrati e non hanno mai riportato condanne penali. La loro è una famiglia normale lui fa il metalmeccanico ed è istruttore di kickboxing, lei è una casalinga e si occupa dei figli e della famiglia".
Anche i 7.000 euro chiesti in prestito a una filiale della Deutsche Bank? Anche in questo caso la Siria non c'entrerebbe nulla, ma si tratterebbe di un prestito per saldare "debiti personali" e comprare un passeggino ad un amico. E quei proclami incendiari? "Non potevano negare di aver detto le frasi che sono state registrate", ha chiarito il legale che poi ha chiesto di contestualizzare quelle frasi.