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Famiglia di foreign fighters a Como: il padre combatteva con al Qaeda, il figlio è in Siria con Isis

Mandato di arresto due cittadini egiziani. Si tratta di padre e figlio. Il primo è stato un miliziano di Al Quaeda ed è stato arrestato, il secondo combatte con lo Stato Islamico in Siria e per ora è sfuggito alla cattura. Rimpatriata in Marocco per motivi di sicurezza personale la moglie e madre dei due.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Blitz della Digos della Questura di Milano, coadiuvata dai colleghi di Como, con un mandato di cattura per due cittadini egiziani, residenti nella provincia lariana. Si trattapadre e figlio, rispettivamente di cinquantuno e ventitré anni. Per entrambi l'accusa è di associazione con finalità di terrorismo: il padre, un ex miliziano di Al Qaeda è stato portato in carcere, mentre il figlio si trova al momento in Siria dove combatte con l'Isis. Il padre aveva radicalizzato il figlio, inviandogli 200 euro al mese per mantenersi in Siria dove il ragazzo si trova dal 2014. Con un provvedimento del Ministro degli Interni, invece, è stata rimpatriata la moglie e madre dei due: la donna, cittadina marocchina di quarantacinque anni, è stata riaccompagnata nel suo paese d'origine per motivi di sicurezza personale.

Si tratta dell'ennesimo arresto perseguito dagli uomini delle forze dell'ordine nel territorio lombardo per terrorismo: a novembre era stato espulso un cittadino marocchino di 37 anni con la medesima accusa. "Si tratta di un 37enne segnalato a seguito di indagini investigative la scorsa estate perché aveva postato sui social contenuti di propaganda jihadista e aveva manifestato l’intenzione di voler raggiungere il Medio Oriente", spiegò all'epoca il Viminale. Pochi giorni prima era toccato ad un tunisino salafita (ovvero il ramo più "ortodosso" dei fondamentalisti) di 25 anni essere rimpatriato nel proprio paese. In tutto il 2017, si erano registrati quasi 100 "espulsioni" per motivi di terrorismo dall'Italia.

L'episodio che fece più clamore riguarda sicuramente la condanna a quattro anni di carcere (al termine dei quali sarà espulso dall'Italia) per il 30enne marocchino Nadir Benchorfi, accusato di voler far esplodere il centro commerciale di Arese, dove ogni mattina si recava a lavorare. Il pm spiegò nella sua requisitoria che "non possiamo dire con certezza che avrebbe compiuto un attentato in Italia, ma non possiamo neppure escluderlo", chiedendo otto anni di carcere. I giudici della Corte d'Assise di Milano, invece, lo scagionarono dall'accusa di "condotta partecipativa" di terrorismo internazionale, contestata all'uomo per le sue frequentazioni con alcuni foreign fighters in Germania. Legami che secondo la procura avrebbe mantenuto anche in Italia e che portarono al suo fermo.

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