Milano, l’ospedale San Carlo è covid free: “Il virus ci ha cambiato la vita, se torna saremo pronti”
"Abbiamo affrontato un evento senza pari, qualcosa che non capita ogni generazione. Questa esperienza ci ha cambiati, e se il virus tornerà saremo pronti". All'ospedale San Carlo di Milano è stato trasferito anche l'ultimo paziente con coronavirus dal reparto di terapia intensiva. La struttura è ora "Covid free", medici e infermieri possono festeggiare dopo mesi di sforzo straordinario.
Il dottor Stefano Muttini, direttore della Rianimazione del San Carlo, intervistato da Fanpage.it traccia il bilancio di quattro mesi in cui dalla terapia intensiva sono passate decine di persone in condizioni gravissime. "Abbiamo avuto in cura oltre 90 malati solo in terapia intensiva. In questi mesi lavorato molto e ottenuto risultati positivi, grazie a protocolli che hanno funzionato. Il coinvolgimento emotivo è stato enorme, tutti si sono dedicati con abnegazione commovente. Sentirsi sommersi da una marea di pazienti e cercare sempre soluzioni è stato impegnativo".
Quanto avete capito che stava arrivando qualcosa di eccezionale?
Quando l'epidemia è arrivata abbiamo avuto la fortuna di poterci preparare, per qualche giorno, sentendo cosa stava accadendo nelle prime aree colpite, le province di Lodi, Bergamo, Pavia. A fine febbraio siamo partiti con 8 posti letto in rianimazione e 7 posti per i pazienti Covid, che abbiamo ricavato in unità coronarica.
Quando avete iniziato a ricevere molti malati?
Attorno al 7 marzo sono arrivati i primi pazienti da Bergamo, Crema, Cremona. Quindi il flusso è aumentato in modo esponenziale. All'inizio la speranza era di avere solo casi provenienti da questi focolai locali, ma quando abbiamo visto comparire decine di persone anche al nostro pronto soccorso abbiamo capito che avremmo affrontato qualcosa di mai visto.
A quel punto che è successo?
Il gruppo si è compattato. Abbiamo visto arrivare l'onda di marea e ci siamo sentiti chiamati a dare risposta, trovando soluzioni organizzative e cliniche. Abbiamo convertito un blocco operatorio con 16 ulteriori posti letto di terapia intensiva, che erano pronti in tempo di record il 19 marzo. A quel punto avevamo 35 posti di rianimazione, dagli 8 originari.
Come avete affrontato il periodo del picco della pandemia?
È stato periodo di estrema intensità. Solo per le rianimazioni Covid ci siamo trovati a gestire 120 persone tra infermieri e ausiliari, oltre a 42 medici. Di fatto abbiamo convertito tutta l'attività, tranne l'emergenza e urgenza. Si è creato un gruppo molto numeroso, ma molto compatto e con uno spirito fantastico. Così siamo riusciti a gestire centinaia di pazienti senza che la piena ci sommegesse.
Come è stato il rapporto con le famiglie dei degenti?
La nostra filosofia prima dell'emergenza era quella di una terapia intensiva "aperta". Per noi è importante coinvolgere i parenti con la loro presenza accanto al malato. Con il Covid questo non era possibile. Abbiamo dovuto inventare altri sistemi: chiamate con i tablet e altre modalità per permettere i contatti. con le famiglie. Anche questo è stato un lavoro impegnativo.
Ora la situazione è migliorata, ma se dovesse verificarsi una recrudescenza dell'epidemia cosa accadrebbe?
Al momento la situazione è sotto controllo. Il flusso di pazienti ha iniziato a diminuire da maggio e abbiamo riconvertito progressivamente i reparti. Ma rimane una rianimazione attrezzata con 16 letti, pronti per eventuali nuove ondate. Intanto stiamo preparando i programmi in caso di escalation. Anche il personale è pronto a tornare.
Il virus, se dovesse ripresentarsi con la stessa forza, non coglierebbe più di sorpresa gli ospedali lombardi?
Noi lavoriamo in rete con gli altri ospedali hub della Lombardia. L'obiettivo è essere preparati a governare sia piccoli focolai, indirizzando pazienti in ospedali di riferimento, ma anche avere un piano nel caso di una ondata che richieda molti letti.