L’ex deputato Mario Sberna: “Salvo grazie alla bombola tolta a un 84enne: erano 3 per 30 pazienti”
Quella dell'ex deputato Mario Sberna è una testimonianza a tutto tondo che racconta nei dettagli la sua esperienza col Coronavirus, dai primi sintomi fino al ricovero in ospedale agli Spedali Civili di Brescia dove è stato curato in una stanza lavanderia adibita a reparto Covid. Al Corriere della Sera l'ex deputato eletto alla Camera nel 2013 con Scelta Civica ha raccontato quei giorni pieni di incertezza e anche tanta rabbia: "Eravamo 30 malati in quel reparto con appena tre bombole di ossigeno – spiega – accanto a me c'era un anziano 84enne di Mantova attaccato al respiratore. Sognava di tornare a casa, poi una sera si è aggravato ed è stato portato via in ambulanza. Il suo respiratore è passato a me".
In 30 malati in una lavanderia con tre bombole di ossigeno
Le parole di Sberna, interrotte a volte dalla commozione, dipingono un quadro critico di come i pazienti venissero trattati e assistiti durante l'emergenza: "Non me la prendo con gli infermieri. Hanno fatto il possibile – ci tiene a precisare – la mia rabbia è contro la dirigenza dell’ospedale (che non ho mai visto in reparto) e contro chi gestisce il sistema sanitario in Lombardia: servivano servizi aggiuntivi d’urgenza, che non sono stati garantiti". Lui che ha operato spesso in Africa come missionario paragona proprio la sua città al continente da lui amato: "Per la prima volta mi sono sentito povero. Nella mia Brescia, non in Africa. C’è stato un momento che mi sono sentito morire – continua – in quella stanza era un inferno, senza cibo e coperte, con un solo wc. Peggio di certi ospedali del Burundi, che ben conosco".
La febbre e il bruciore ai polmoni, poi il ricovero al Civile
La sua odissea inizia il 7 marzo con una febbre che sale a 39 e bruciore a polmoni e gola, ma in quel momento la regione Lombardia raccomandava di non recarsi in pronto soccorso e anche di non indossare la mascherina se non si aveva certezza di avere il Covid, ma Sberna su consiglio del suo medico di base in ospedale ci va: "Mi sono presentato l’11 marzo. Facevo fatica a reggermi in piedi. Lì ho vissuto quattro giorni d’inferno. Credevo di morire, di non rivedere più mia moglie e i miei cinque figli – spiega – ricordo il freddo cane: le porte erano sempre spalancate. Ma non avevamo coperte. Non c'era cibo. Passavano quei santi degli infermieri a darci un pacchetto di crackers, dei grissini o uno yogurt. C’era un solo bagno per tutti quei malati, molti dei quali avevano dissenteria e vomito, come me. Un bagno in condizioni vergognose anche in tempi di pace, figurarsi in tempi di Covid. Non hanno aggiunto nemmeno una toilette chimica".
Inammissibile un trattamento sanitario simile in Lombardia
Una storia conclusasi per fortuna con un lieto fine, perché il 59enne da quel reparto è uscito e con le sue gambe. Ma resta oltre a una forma fisica che farà fatica a riprendere anche l'amarezza di aver visto una sanità che non ha funzionato come avrebbe dovuto: "È inammissibile un trattamento simile nel 2020 in una delle regioni che si fregia d’avere una sanità tra le migliori d’Europa. Ha fatto bene il parlamentare 5S Ricciardi a denunciare la pessima gestione dell’emergenza Covid in Lombardia. Incomprensibili le reazioni sdegnate dei leghisti – conclude – nessuno mi ha mai telefonato per sapere come stessi, dopo quei quattro giorni in "lavanderia" sono stato trasferito in reparto e poi mandato a casa perché il mio letto serviva a qualcuno che era in condizioni più gravi delle mie".