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Le cosche della mafia catanese in affari con i supermercati Lidl: 15 arresti a Milano

Quindici persone sono state arrestate e due fermate tra Milano e la Sicilia: sono accusate di associazione per delinquere che avrebbe favorito gli interessi, soprattutto a Milano e provincia, della famiglia mafiosa catanese dei Laudani. Coinvolte quattro direzioni generali della Lidl, alcune società che hanno in appalto la vigilanza del tribunale di Milano e anche una dipendente del Comune di Milano, finita ai domiciliari.
A cura di Enrico Tata
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L'ombra delle cosche mafiose catanesi tra i carrelli della Lidl, l'azienda della grande distribuzione a cui afferiscono oltre 200 punti vendita in tutta Italia. Questa mattina gli agenti della Polizia e gli uomini della Finanza hanno arrestato quindici persone (11 finite in carcere, tre ai domiciliari e una sottoposta a divieto di dimora), e fermato altre due, tra Lombardia e Sicilia, nell'ambito di un'inchiesta sulle attività criminali del clan mafioso dei Laudani, meglio conosciuto come “Mussi i' ficurinia” (facce di fichi d'India, in catanese). Queste le accuse: associazione per delinquere che avrebbe favorito gli interessi, soprattutto a Milano e provincia, della cosca catanese. I due fermi sono stati invece eseguiti a Catania.

Le indagini, partite a giugno 2015 e coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano, con il procuratore aggiunto Ilda Boccassini e il pubblico ministero Paolo Storari, hanno consentito di accertare come la famiglia mafiosa dei Laudani sia riuscita, attraverso una serie di società e cooperative riconducibili al “Gruppo Sigilog” di Cinisello Balsamo e facenti capo a diversi imprenditori a infiltrarsi nel tessuto economico lombardo.

Coinvolte alcune società di vigilantes del tribunale di Milano

Tra le società infiltrate anche la società di grande distribuzione Lidl. Quattro le direzioni generali del gruppo commissariato dai magistrati: quelle di Volpiano (Torino), Biandrate (Novara), Somaglia (Lodi) e Misterbianco (Catania), che amministrano complessivamente 218 filiali.

Inoltre nell'inchiesta della Dda sarebbero coinvolte anche alcune società che hanno in appalto la vigilanza privata del tribunale di Milano. Tra i dirigenti di queste società sarebbero emersi stretti con alcuni membri del clan Laudani. Cinque le società coinvolte in questo caso, tutte riconducibili alla “Securpolice Group scarl” di Cinisello Balsamo e operanti nel settore della sicurezza e della vigilanza. Per questo è stata fissata un'udienza per decidere sulla nomina di un commissario che per un anno le amministrerà.

Tra le misure disposte dal giudice per le indagini preliminari di Milano anche il sequestro delle quote di dieci società e cooperative riconducibili al “gruppo Sigilog” di Cinisello Balsamo, fulcro dell'inchiesta: si tratta di aziende operanti nel settore della logistica, del facchinaggio e dei servizi alle imprese, alle cui dipendenze risultano circa 190 dipendenti.

Ai domiciliari dipendente di Palazzo Marino

Tra le persone finite in manette ci sono anche un sindacalista tuttora in attività e che era impiegato nella Provincia di Milano: l'uomo era stipendiato mensilomente dal sodalizio criminale. Ai domiciliari è finita anche una dipendente del Comune di Milano, accusata di aver pilotato un appalto con la promessa di venire trasferita ad altro incarico: si tratta della responsabile del "Servizio gestione contratti trasversali con convenzioni centrali di committenza" di Palazzo Marino.

Come funzionava il sodalizio criminale

Al centro del sodalizio criminale c'era L.A., in grado di gestire e mediare i rapporti tra gli imprenditori con i quali era in affari. Tra questi due fratelli, imprenditori che operano nel campo della vigilanza e della sicurezza e attraverso diverse società della “Securpolice Group scarl” di Cinisello Balsamo forniscono numerosi servizi a favore di strutture pubbliche e private, in particolare presso catene di supermercati su tutto il territorio nazionale. I due, su sollecitazione di L.A. e di altri due sodali, G.P e E.M. provvedevano a inviare tramite l’affiliato E. B. somme di denaro contante in Sicilia. I soldi erano destinati al sostentamento economico delle famiglie dei detenuti appartenenti alla famiglia mafiosa “Laudani” e servivano anche a ottenere commesse e appalti in Sicilia dalla Lidl Italia srl, garantendo così il monopolio e la cogestione del settore nonché veicolando il reclutamento del personale da assumere.

Il denaro poi, grazie alla connivenza di un professionista, A.A.P., veniva monetizzato attraverso società riconducibili anche a prestanome e proveniva da diverse attività illecite (emissione di fatture per operazioni inesistenti ad oggi quantificate in oltre 2,5 milioni di euro, omessa dichiarazione ed omesso versamento dell'Iva). I soldi, in parte, servivano anche a finanziare attività di corruttela di amministratori di enti pubblici e di dirigenti della Lidl Italia srl, per assicurarsi l’assegnazione dei lavori di restyling e rifacimento delle filiali di quest’ultima società, mediamente per un importo di circa 3 milioni di euro annuali.

La replica di Lidl Italia: "Completamente estranei alla vicenda"

Sulla vicenda è arrivata poi la replica ufficiale di Lidl Italia: "Lidl Italia si dichiara completamente estranea a quanto diffuso in data odierna dai principali media in relazione all'operazione gestita dalla DDA. L'Azienda, che è venuta a conoscenza della vicenda in data odierna da parte degli organi inquirenti, si è resa da subito a completa disposizione delle autorità competenti – è scritta nella nota – al fine di agevolare le indagini e fare chiarezza quanto prima sull'accaduto. Lidl Italia precisa, inoltre, che l'Azienda non risulta indagata e non vi sono sequestri in atto".

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