In Lombardia controlli obbligatori per tornare al lavoro, Ats: “Impossibile: troppi tamponi da fare”
Il tema dei controlli obbligatori prima di poter rientrare al lavoro è un tema sul quale sembra esserci ancora poca chiarezza. La regione Lombardia ha infatti chiesto una ripresa delle attività lavorative a partire dal 4 maggio e per questo ha dettato delle linee guida precise sulle quali è nato già uno scontro col governo: ma mentre si discute delle cosiddette "Quattro D" cioè distanza, dispositivi, digitalizzazione e diagnosi, che secondo la giunta lombarda devono essere i punti di partenza per le aziende che vogliono riaprire in sicurezza, si tenta di ricostruire anche quale sarà il percorso di inserimento dei pazienti Covid-19 o sospetti tali nel mondo del lavoro. Secondo una nota di regione Lombardia per riprendere le attività lavorative questi ultimi devono effettuare un tampone obbligatorio che escluda la positività al coronavirus ma secondo le Ats questi non sarebbero abbastanza per coprire le esigenze di tutti: il risultato è chi si produrrebbe un forte rallentamento della ripresa o ancora peggio che si torni al lavoro senza i controlli necessari.
Rientro al lavoro: tre i casi da analizzare
Secondo quanto riportato dalla circolare della regione Lombardia sarebbero i tre i casi presi in analisi in merito alla conclusione della quarantena e al successivo rientro: il primo riguarda i pazienti in isolamento domiciliare obbligatorio, quelli che sono risultati positivi dopo aver effettuato un tampone e che dopo 14 giorni sono risultati negativi a due tamponi a distanza di 24 ore, in questo caso vi è semplicemente la fine della quarantena. Il secondo caso riguarda chi è in isolamento domiciliare fiduciario, ovvero quelle persone che hanno i sintomi Covid-19 ma che non hanno effettuato il tampone e sono stati seguiti a casa dal medico di base, per loro è previsto l'allungamento del tempo di osservazione durante il quale rilevare la presenza di sintomi, "da 14 a 21 o meglio 28 giorni. Ciò al fine di attuare un comportamento prudenziale laddove non vi sia la possibilità di sottoporre tutti i soggetti in isolamento fiduciario all’esecuzione di test per la ricerca di SARS-CoV-2, e stante l’attuale indicazione di non utilizzo dei test sierologici per indicare un soggetto guarito e non più infettivo".
L'unico modo per escludere il contagio resta il tampone
Il terzo caso riguarda i pazienti entrati in contatto con il virus ma che non hanno effettuato il test: una volta conclusa la sorveglianza con sintomatologia assente per almeno 14 giorni, è previsto che il medico di base richieda all’Ats l’esecuzione di un tampone nasofaringeo, se il risultato negativo si conclude l’isolamento fiduciario con ripresa dell’attività lavorativa, mentre in caso di positività si considera valevole il percorso dei 14 giorni e l’effettuazione dei tamponi. Il punto però è che non vi è una decorrenza assoluta per tutti i pazienti: alcuni infatti eliminano il virus subito, altri entro gli ormai noti 14 giorni, altri ancora invece possono essere contagiati anche dopo 30-40 giorni. Ad oggi dunque l'unico modo per essere certi che una persona non sia infetta è effettuare il tampone.