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Opinioni

La candidatura nazionale di Sala a premier e quella malsana voglia di bruciarlo

Le candidature che lanciano sindaci come fossero loghi non hanno mai funzionato, non funzionano e le poche volte che funzionano hanno creato mostri autoreferenziali. Il Pd provi magari a spiegarci cos’ha di buono Sala e quali siano i confini del centrosinistra che si immaginano e quale sia il programma. Almeno.
A cura di Giulio Cavalli
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Ci risiamo. Come se gli errori del passato non contassero niente e fossero solo incidenti di percorso da rimuovere senza nessun insegnamento. Il segretario del Pd nazionale Nicola Zingaretti lancia il sindaco di Milano Beppe Sala a possibile candidato premier nelle prossime elezioni e rimette in moto il solito giochetto: partire dalle facce, usare nomi come simboli, trascinare a forza qualcuno all'interno di un agone politico che non si sa bene quando avverrà, che contorni avrà e soprattutto rischiare per l'ennesima volta di bruciare una candidatura ben prima che se ne possa parlare.

Per carità, il problema non è Beppe Sala che bene sta facendo a Milano e che, soprattutto, si è opposto a molte salvinate (seppur con i suoi consueti modi istituzionali e apparentemente gentili) con più fatti e con più convinzione di tanti nell'opposizione. E il problema non è nemmeno che sia Sala o qualsiasi altro il candidato che legittimamente il PD metta in campo. Il fatto vero è che c'è un'elezione europea alle porte e la composizione dell'alleanza del Pd (praticamente con nessuno, se non con lo stesso Calenda che non assicura nemmeno di iscriversi allo stesso gruppo) ha confini molto diversi dall'esperienza politica del Pd milanese. È beneaugurante che sia preso a modello una delle poche esperienze che vede i democratici sforzarsi (e spesso riuscirci) nell'interloquire con le altre forze di centrosinistra (e qui conta anche la voglia collante di Majorino, per dire) ed è un buon segno che Sala venga preso a modello con una strategia sull'accoglienza che è ben diversa da altri esponenti del suo stesso partito.

Il fatto è che una candidatura non si fa con un nome. Al massimo si candida un'esperienza. E non si capisce bene perché il Partito democratico non si prenda la briga di dirci se l'esperienza milanese (a tutto tondo, mica solo per i mezzi pubblici che arrivano in orario e per l'amministrazione che funziona) vuole essere portata sul piano nazionale e quindi discussa nelle apposite sedi. Candidare Sala alle prossime elezioni politiche significa quindi che siamo tutti d'accordo che nessuno debba restare indietro e che per una buona volta non si insegua la destra su quel piano? Benissimo. Ottima notizia. Ma parlatene, fatecelo sapere. Candidare Sala significa puntare su un ricongiungimento con il terzo settore e con il mondo del volontariato che da anni sono sotto attacco? Benissimo. Ditecelo. Discutetene, fatene se non un programma almeno un'idea da cominciare a comunicare. Le candidature che lanciano sindaci come fossero loghi non hanno mai funzionato, non funzionano e le poche volte che funzionano hanno creato mostri autoreferenziali. Facciamo così, rimettiamo un attimo nel cassetto Sala e ripartiamo dal basso decidendo cosa ha fatto, raccontandolo e su cosa siamo d'accordo declinandolo sul piano nazionale. Altrimenti è un ottimo modo, un'altra volta, di bruciare qualcuno. E no, non ce n'è proprio bisogno.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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