Il professor Gattinoni: “L’emergenza in Lombardia per la frattura enorme tra ospedali e territorio”
"Perché è successo in Lombardia?". È questa la domanda che attanaglia Luciano Gattinoni, anestesista rianimatore di fama internazionale, professore emerito all'Università di Gottingen in Germania e a lungo primario del Policlinico di Milano. Dal suo punto di vista emerge in maniera lampante la differenza tra gli effetti drammatici della pandemia di Covid-19 in Lombardia e quelli più contenuti che ci sono stati in Germania. Fanpage.it lo ha intervistato per cercare di capire le differenze tra i due diversi modelli.
Professore, si ipotizza che in Germania i danni siano stati minori perché c'erano più posti di terapia intensiva.
In Germania il numero di letti di terapia intensiva è 4 volte superiore a quello dell'Italia, ma non tutti sono attivati: mi risulta che un 20 per cento non è attivato perché mancano gli standard e il personale adeguato. In Germania per rimborsare le degenze in Terapia intensiva pretendono che il rapporto tra infermieri e letti sia 1 a 2. Se l'ospedale non è in grado di rispettarlo viene declassificato, non è più di terapia intensiva, anche se ci sono il letto e il monitor. Qui l'emergenza tipo Lombardia non c'è stata. La vera domanda è chiedersi perché è successo in Lombardia, dove abbiamo un livello di terapia intensiva tra i migliori al mondo. La risposta è che abbiamo avuto un iper afflusso (negli ospedali e nelle terapie intensive, ndr) che ha delle radici più lontane. La terapia intensiva è l'ultimo anellino di questa pandemia, in cui finisce meno dell'1 per cento della popolazione affetta. Ma se arrivano tantissimi in un colpo solo è un problema. Sicuramente quello che devono serenamente fare (in Lombardia, ndr) è sedersi e analizzare gli errori, ma non so quanto siano in grado di farlo. Perché occorre per i politici rimangiare alcune cose, e anche per i tecnici rivedere le loro posizioni. Occorre un sereno confronto.
Un altro punto è il modello pubblico/privato. Lei ha speso una vita nella sanità pubblica. La Sanità lombarda negli anni ha visto invece avanzare sempre di più il privato e adesso i privati accreditati si aspettano che gli vengano pagate le prestazioni effettuate per pazienti covid. Se la sanità pubblica in Lombardia fosse stata più forte, avesse avuto più posti letto e le spalle più larghe, non avremmo dovuto ricorrere ai privati.
Il concetto di privato in Italia è strano: il privato normale è quello in cui io costruisco gli ospedali con i miei denari, pago i dottori con i miei denari, il paziente paga prestazione fatta da dottori e tutto finisce lì. Noi abbiamo un privato in cui quello che paga sostanzialmente è sempre lo Stato. Se paga lo Stato era ovvio e naturale che il privato partecipasse alla gestione dell'emergenza: cosa che dopo alcuni iniziali tentennamenti per la maggior parte del privato è successa. Il privato ha portato alcuni vantaggi, sicuramente in termini di eccellenza e a volte in termini di sana competizione, ma ha prodotto anche alcune storture. Perché al grido di ottimizziamo la sanità e aumentiamo i profitti, taglia qui e taglia là (cosa avvenuta anche nel pubblico), alla fine uno si accorge che non ha i medici, i medici prodotti non hanno avuto tempo di studiare e confrontarsi con i loro predecessori, sono caricati di un lavoro da fare con minutaggio preciso. Insomma, stiamo arrivando all'idea della salute come una merce da vendere, e questo non è il mio mondo.
Per questo se si fosse investito di più sul pubblico avremmo dovuto ricorrere meno al privato, anche in pandemia.
È vero, ma non credo che sia il problema principale. A me preoccupa molto di più la frattura enorme che si è creata negli ultimi 20-30 anni con la medicina territoriale. Uno dei motivi per cui in Germania ci sono stati molti meno problemi è la forza del territorio, che ha tenuto fuori dagli ospedali una gran parte dei pazienti che non necessitavano di andare in ospedale.
Ci riassume cosa è successo nelle prime settimane dell'epidemia in Italia e in Germania?
So che all'inizio in Italia se uno aveva sintomi da Covid andava in ambulatorio e negli ospedali che non avevano ancora percorsi perfettamente separati, si mischiava con altri pazienti e così, apparentemente, in Lombardia gli ospedali sono diventati un moltiplicatore di contagio, con alcune conseguenze. Perché alcuni pazienti avevano paura di andare in ospedale per non ammalarsi, arrivavano nelle strutture in ritardo quando la malattia era notevolmente aumentata e quindi si è creata una situazione come quella che abbiamo vissuto.
Una sorta di circolo vizioso. E in Germania invece?
In Germania molto semplicemente prima hanno avuto la fortuna di non essere stati il primo Paese coinvolto e quindi le antenne erano ben drizzate. Ma anche quando tutto era tranquillo c'erano dei cartelli in ospedale, nessuno entrava con sintomi riconducibili al Covid. Bisognava schiacciare un campanello, si entrava tramite una porta riservata o in un padiglione riservato in cui c'era il 50 per cento dei medici generalisti del territorio. Il paziente veniva visitato, rimandato eventualmente a casa, non entrava in ospedale, e mentre il paziente andava a casa il medico che l'aveva visitato avvertiva il medico di base che se ne prendeva carico: per la saturazione, per seguire la malattia, trovare un'indicazione. A noi in Lombardia questo è mancato, in Veneto i miei colleghi dicono che questo fenomeno è stato contenuto perché la medicina territoriale lì è più forte, per ragioni storiche. In Lombardia noi abbiamo questa grossa eccellenza degli ospedali privati e pubblici, alcuni, e questa grossa frattura col territorio, i cui medici non fanno parte del Servizio sanitario nazionale ma rappresentano un'entità indipendente che non è integrata nel sistema. Il tutto ha origini lontane. Alcuni medici si stanno consorziando, ma il sistema è veramente disarticolato.
Il problema vero è in questa frattura, quindi?
Dico una cosa molto semplice: nella mia carriera in Terapia intensiva mi è capitato solo un paio di volte in 40 anni che un medico di base mi chiamasse per informarsi della salute di un suo paziente o per confrontarsi con me per sapere cosa avrebbe dovuto fare. Non è colpa di medici di base, è che noi viviamo in questo sistema. Quando si sente dire che dobbiamo ridisegnare il territorio è una cosa logica e doverosa, ma che richiede un salto culturale terrificante. Ci vorranno non mesi, ma credo anni se non decenni per ricompattare il sistema, che va rivisto.
(Intervista a cura di Carla Falzone)