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I giudici bocciano i corsi in inglese del Politecnico: devono essere tenuti anche in italiano

Questo il parere del Consiglio di Stato, intervenuto in merito alla decisione del Politecnico di Milano di tenere le lezioni dei corsi di laurea magistrale e di dottorato in inglese.
A cura di Enrico Tata
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Secondo i giudici è illegittimo organizzare corsi universitari esclusivamente in lingua inglese. Questo il parere del Consiglio di Stato, intervenuto in merito alla decisione del Politecnico di Milano di tenere le lezioni dei corsi di laurea magistrale e di dottorato in inglese.

Sulla questione si era espressa anche la Corte costituzionale, che ha aveva dato parzialmente ragione all'ateneo milanese. Secondo la Consulta le università possono, nella loro autonomia, erogare corsi in una lingua straniera, purché l'offerta formativa non sacrifichi totalmente l'italiano. Il Tar invece si era espresso contro il provvedimento del Politecnico e oggi anche il Consiglio di Stato.

La sentenza odierna è stata pubblicata sul sito dell'Accademia della Crusca, d'accordo con la decisione della corte.  Secondo i giudici "il primato della lingua italiana non solo è costituzionalmente indefettibile, bensì – lungi dall'essere una formale difesa di un retaggio del passato, inidonea a cogliere i mutamenti della modernità – diventa ancor più decisivo per la perdurante trasmissione del patrimonio storico e dell'identità della Repubblica, oltre che garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell'italiano come bene culturale in sé".

La decisione del Politecnico provocherebbe un "illegittimo sacrificio" dei principi costituzionali del primato della lingua italiana richiamati dalla Corte Costituzionale. Questo perché la decisione di tenere le lezioni solo in inglese "estrometterebbe integralmente e indiscriminatamente la lingua ufficiale della Repubblica dall'insegnamento universitario di intieri rami del sapere"; perché "imporrebbe, quale presupposto per l'accesso ai corsi, la conoscenza di una lingua diversa dall'italiano, così impedendo, in assenza di adeguati supporti formativi, a coloro che, pur capaci e meritevoli, non la conoscano affatto, di raggiungere “i gradi più alti degli studi”, se non al costo, tanto in termini di scelte per la propria formazione e il proprio futuro, quanto in termini economici, di optare per altri corsi universitari o, addirittura, per altri atenei"; e infine perché "potrebbe essere lesiva della libertà d'insegnamento, poiché, per un verso, verrebbe a incidere significativamente sulle modalità con cui il docente è tenuto a svolgere la propria attività, sottraendogli la scelta sul come comunicare con gli studenti, indipendentemente dalla dimestichezza ch'egli stesso abbia con la lingua straniera; per un altro, discriminerebbe il docente all'atto del conferimento degli insegnamenti, venendo questi necessariamente attribuiti in base a una competenza – la conoscenza della lingua straniera – che nulla ha a che vedere con quelle verificate in sede di reclutamento e con il sapere specifico che deve essere trasmesso ai discenti".

Per il Consiglio di Stato, comunque, "per gli atenei che lo ritengano opportuno, di affiancare all'erogazione di corsi universitari in lingua italiana corsi in lingua straniera, anche in considerazione della specificità di determinati settori scientifico-disciplinari".

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