Frontalieri, fa paura il “contagio di ritorno” dalla Svizzera: “Garantire sicurezza dei lavoratori”
La preoccupazione più forte ora viene dall'altra parte della frontiera. Nelle zone di confine tra Italia e Svizzera lo scambio è da sempre continuo. Le famiglie elvetiche vengono in Italia a fare la spesa, i nostri frontalieri vanno a lavorare nel Canton Ticino. Nemmeno il coronavirus è riuscito a bloccare del tutto questa permeabilità. Nonostante le norme molto severe imposte in Lombardia e quelle (un po' meno) rigide delle autorità elvetiche, sono ancora molti i contatti tra i due lati del confine. Migliaia di lavoratori italiani sono impiegati in attività considerate "essenziali" in Svizzera, come la sanità, l'industria farmaceutica, il settore agro-alimentare. E i sindaci dei comuni di frontiera ora sono preoccupati che il contagio possa entrare dalla Svizzera.
"Molte chiusure aziendali sono fittizie", denuncia a Fanpage.it il sindaco di un piccolo comune della provincia di Varese. Nel Ticino, così come in Italia, sulla carte sono rimaste aperte solo le attività essenziali. Ma non sempre è così. "La gente è in giro in Svizzera, nei giorni di festa abbiamo dovuto chiudere i sentieri", spiega l'amministratore, "non c’è uniformità nelle regole e sono molto preoccupato, rischiamo di fare un ping pong, un rimpallo del contagio da una parte all'altra del confine".
Da settimane i sindacati lanciano allarmi sulla situazione dei lavoratori impiegati oltre confine. Mirko Dolzadelli, responsabile Cisl per i frontalieri, nei giorni scorsi aveva denunciato la perdita di circa 6mila posti tra gli 80mila italiani che lavorano all'estero, chiedendo che le misure di supporto previste dal decreto Cura Italia fossero estese anche a loro. Si tratta soprattutto di stagionali del settore turistico, molti dei quali lavorano nel Canton Grigioni, ma anche di addetti del settore edile e lavoratori in somministrazione nel commercio e nell'industria ticinese. L'appello è stato raccolto in modo bipartisan. Partito democratico, Italia Viva e Lega hanno presentato emendamenti per chiedere che vengano riconosciute anche ai lavoratori oltre confine indennità, ammortizzatori sociali e congedi.
"Sul piano della sicurezza dei lavoratori rimane una certa preoccupazione e ci sono state prese di posizione da parte delle autorità locali italiane", spiega Dolzadelli intervistato da Fanpage.it. "Ho partecipato personalmente alle chiamate con Berna, come consigliere Farnesina e componente del Consiglio generale degli italiani all'estero. Abbiamo chiesto l'estensione dei provvedimenti anti coronavirus anche nei cantoni, come Vallese e Grigione, dove le norme erano molto più blande rispetto all'Italia". Per evitare di riportare il virus in Italia, molti lavoratori sono rimasti a dormire in Svizzera. Da marzo gli alberghi del Canton Ticino e degli altri territori di confine si sono riempiti di frontalieri.
Il sindacato ha denunciato situazioni troppo “rilassate” in alcune aziende dove "ci sono condizioni di lavoro che rischiano di ledere l'incolumità", spiega Dolzadelli. "Il problema è che settori come l'edilizia continuano a lavorare in alcuni cantoni", rileva il sindacalista. Nell'ultima settimana c'è stato però qualche passo avanti: "Le autorità cantonali ci hanno dato una serie di garanzie sui provvedimenti adottati per salvaguardare la salute dei lavoratori: dispositivi di protezione, distanza di sicurezza, maggiori attenzioni sui cantieri. Abbiamo chiesto che il trasporto degli operai non avvenga più su pulmini affollati, la chiusura delle mense, maggiori controlli alle dogane, verifiche sui domiciliati. Misure senz'altro migliorative".