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Elena, ecco la mia storia: “Ho ucciso mio figlio perché volevo salvarlo”

Il racconto di una madre che ha deciso di essere d’aiuto ad altri e far comprendere che l’atto inspiegabile che ha commesso, e col quale dovrà fare i conti per il resto della sua vita, è stato il frutto di una patologia che in vari casi può presentare dei ‘campanelli d’allarme’, da non sottovalutare.
A cura di B. C.
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E’ seduta sul letto della piccola stanza che condivide con un'altra donna nell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, Elena (è il nome di fantasia che ha scelto) e appare serena nel raccontare la sua storia. Lei ha ucciso il proprio figlio, come scrive l’Ansa che l’ha incontrata. Un delitto inspiegabile, il suo, col quale dovrà fare i conti per il resto della vita, Elena lo sa bene. “Io stavo bene, non davo segni particolari, avevo una famiglia, un lavoro, un marito che amavo e due splendidi bambini – racconta la donna -; purtroppo, in questi casi, non è come avere un taglio, che uno si accorge che sanguina. Sono delle paure e ansie che pian piano montano, che non so spiegare. So solo che, ad un certo punto, ero terrorizzata, come in un delirio, e vivevo nel terrore che mi portassero via i figli, che li violentassero, li torturassero, li trafiggessero con i chiodi. Ero in preda a questa paura immane – continua a raccontare con gli occhi lucidi ma la voce decisa – e io mi ero messa in testa che dovevo salvarli, e l'unica via di uscita era quella di ucciderli. E una mattina mi sono alzata pensando che dovevo dimostrare di essere forte e di farlo".

Elena aveva sofferto di depressione, e per questo sarebbe dovuta andare in un Centro di salute mentale Csm. Nulla però avrebbe mai lasciato pensare ad un gesto così incomprensibile. “Mi avevano dato appuntamento per il venerdì, ma non sono andata perché dovevo lavorare. Il sabato mattina ho fatto una cosa impensabile". Quindi ricorda: "Ho una figlia, ma mio figlio era una perla, io lo veneravo e lo adoravo più di ogni altra cosa al mondo, era davvero la luce dei miei occhi, era tranquillo, pacifico, per lui avevo un amore assoluto".

 "Non riesco ad accettarlo – dice – non riesco ancora a spiegarmi come ho potuto fare una cosa del genere".

“Sono arrivata qui, dove ho fatto un percorso con tanta sofferenza, paura, senso di colpa, frustrazione, finché ho cominciato a fare un lavoro con me stessa, aiutata sempre da bravissimi medici, e ad accettare questa cosa. Ad accettare che io non stavo bene". Agli altri, ai mariti, alle famiglie, Elena lancia un messaggio: "Le persone vicine devono stare attente e capire che questo non è un male che si tocca con mano e alle prime avvisaglie bisogna farsi aiutare, sempre chiedere aiuto”. Elena a breve lascerà l’ospedale di Castiglione, dove ha scontato la sua pena ed è stata curata. Si dice pronta ad nuova vita: "So che, un passetto alla volta, posso farcela. Vorrei essere indipendente, ricominciare a lavorare". Ciò che teme di più? "Il giudizio impietoso degli altri, che qui – dice – non c'è mai stato".

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