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Ebola, l’ospedale Sacco di Milano pronto all’emergenza

È l’Ospedale Sacco di Milano, il punto di riferimento italiano per l’emergenza contagi, ad essere dotato di un particolare ambulatorio, in grado di intervenire in caso di Ebola. All’ospedale è stata conferita l’alta onorificenza di essere tra i primi venti al mondo.
A cura di Federica Gullace
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Sono già una decina i pazienti recatisi all’ospedale di Milano “Luigi Sacco”, quasi tutti provenienti dalle cd zone a rischio, come la Sierra Leone, Nigeria e Liberia, perché presumibilmente contagiati dall’Ebola, il virus che si starebbe diffondendo sempre di più e che, provocando una febbre emorragica letale, porta alla morte nell’89% dei casi. Perché proprio al Sacco? Perché insieme all’Ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma, è considerato l’ospedale di riferimento a livello nazionale per l’emergenza Ebola e perché è proprio qui che è stato creato un ambulatorio ad hoc per gestire il contagio: ingresso blindato, locali assolutamente isolati e tute traspiranti per medici e personale, completamente coperti dalla testa ai piedi.
Una volta giunto qui un sospetto contagiato, questo viene immediatamente separato dagli altri: è rigorosamente vietato qualsiasi contatto, e, con tanto di telecamere, viene ripreso e quindi controllato tutto quello che succede all’interno dei locali dove verrà eseguita la diagnosi. Il sangue viene portato nel laboratorio speciale BSL4 per essere esaminato, e, in caso di contagi assodati, è pronto l’immediato trasferimento nelle otto camere ad alto isolamento, una volta utilizzate per i malati di Hiv. Ovviamente la sicurezza ed efficienza del sistema di prevenzione, è ulteriormente garantito da un sistema di riciclo dell’aria, con cui si disinfetta ogni cosa che esca dai locali e che non sia stato possibile distruggere all’interno.

Gran parte del merito va sicuramente alla professoressa Maria Rita Gismondo, direttrice del laboratorio di Microbiologica clinica, Virologia e bio-emergenze al polo universitario di Milano, che ad una intervista a il Giorno, ha così dichiarato: “Devo anzitutto premettere che dell’Ebola sappiamo relativamente poco. È un’infezione apparsa per la prima volta nel ’76 in Africa, e per il numero fortunatamente limitato dei casi abbiamo avuto poche possibilità di indagini. Però è certo come avviene il contagio: per contatto diretto tra uomo e uomo attraverso fluidi, sangue, saliva, persino il sudore, ma si può contrarre anche toccando oggetti utilizzati dagli ammalati, un lenzuolo ad esempio. Il rischio di infezione è altissimo e mentre prima si sapeva che l’incubazione era molto breve, due-tre giorni al massimo, ora si è evidenziato che si può protrarre fino a 21 giorni. Non sappiamo se si tratta di una nuova forma. L’ Ebola vive come serbatoio naturale negli animali selvatici e negli insetti delle piante. Poi visto che in quelle zone ci sono pratiche tribali particolari è facile raggiunga l’uomo. I Paesi in cui c’è l’epidemia hanno una popolazione poverissima, che ha difficoltà anche ad affrontare un viaggio per emigrare, sono popolazioni rurali molto disagiate. Io penso che nessuno possa dire né che il pericolo è 0, né che è imminente. Certo potrebbe tornare un volontario che si è contagiato o potrebbe arrivare un immigrato contagiato. Non voglio diffondere panico ma un’attenzione e un cordone sanitario direi che dovrebbero essere attivati. Il laboratorio, difatti, ha l’alta onorificenza di essere tra i venti del mondo”.

Già da tempo al pronto soccorso sono attive tutte le misure di sicurezza da attivare nell'immediato per chiunque si presenti con sintomi sospetti dopo essere stato nelle aree pericolose, e come giustamente comunicato dal Ministero della Salute "La probabilità di importazione di casi nel nostro Paese è molto bassa ma è necessario che la capacità di risposta del sistema sanitario nazionale, sia adeguata".

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