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Delivery, turni e spazi aperti, così riaprono i ristoranti a Milano: “I divisori in plexiglas? Mai”

Consegne a domicilio fai da te, camerieri e cuochi trasformati in fattorini per portare la cena a casa dei clienti. Locali più vuoti, con i tavoli distanziati di due metri. Turni per cenare, con prenotazione molto consigliata (se non obbligatoria) e richiesta di lasciare spazio a chi viene dopo appena finito il pasto. A Milano i ristoratori si preparano alla fase due con creatività e spirito di iniziativa. E promettono: serviranno buon senso, grande pazienza e rispetto delle regole, ma riusciremo a ripartire. Ecco come sarà la “nuova movida”.
A cura di Simone Gorla
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Un ristorante che effettua consegne a domicilio
Un ristorante che effettua consegne a domicilio
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 A Milano i ristoratori si preparano alla fase due con creatività e spirito di iniziativa. E promettono: serviranno buon senso, grande pazienza e rispetto delle regole, ma riusciremo a ripartire. In attesa di capire quando i locali potranno riaprire e si avrà una "nuova movida" (per ora si parla di una fase due graduale dal 4 maggio a partire da aziende e uffici) la maggioranza dei titolari di attività, a Milano come nel resto d'Italia, ha intrapreso la strada del delivery per riuscire a resistete.

Milano, locali e ristoranti si preparano alla nuova vita

"Molti si sono attrezzati per il fai da te. Camerieri, titolari, cuochi si sono reinventati rider, con le dovute precauzioni" spiega a Fanpage.it Lorenzo Ferrari, amministratore di RistoratoreTop, un'agenzia di marketing che si occupa di consulenze per la ristorazione. Un sondaggio condotto nella sua community, che comprende oltre 9mila imprenditori italiani del settore, rivela che il 77 per cento dei ristoratori ha iniziato a fare consegne a domicilio o si organizza per farlo. La metà di questi ha deciso di non appoggiarsi alle piattaforme di delivery, ma di impiegare il proprio personale.

Divisori in plexiglas? Tutti pensano che siano una pessima idea

"In questa fase tutti si sono spostati sul delivery, è l'argomento caldo di questo periodo", sottolinea Ferrari. Quella dei pasti da asporto, a domicilio o take away, sembra la strada tracciata anche per la prossima fase. "Sulla riapertura si sentono ipotesi bizzarre, come quella dei divisori in plexiglas. Tutti pensano che siano una pessima idea. Sarebbe un'esperienza indecente offerta al cliente. Sappiamo anche che i tavoli distanziati porteranno almeno a dimezzare i coperti. In questo modo le attività non stanno in piedi". Gli spazi esterni potranno essere sfruttati più facilmente, dopo che il Comune ha sospeso la tassa sull'occupazione del suolo pubblico. Ma non sarà quella la soluzione definitiva al problema. In attesa di indicazioni chiare su modalità e tempi della riapertura, l'unica relativa certezza dei ristoratori è la consegna a domicilio. "È anche un modo per restare a contatto con i clienti – prosegue Ferrari -. La stragrande maggioranza non riaprirà senza continuare a fare delivery".

Dalla macelleria ai casoncelli bergamaschi: chi è riuscito a reinventarsi

Le esperienze positive in questo senso non sono mancate nemmeno durante la fase di lockdown. Dalla macelleria con cucina Il Mannarino che ha creato il "pacco" che si può ordinare domicilio, arrivando a centinaia di consegne al giorno a Milano e anche fuori città, alla storica trattoria Taiocchi di Curno (Bergamo) che consegna i casoncelli fatti in casa insieme alle istruzioni e agli ingredienti per condirli alla perfezione. Nel centro del capoluogo lombardo, a due passi da via Torino, anche i titolari del ristorante SlowSud hanno iniziato a fare delivery. "Saremo noi soci ad andare a fare le consegne. Per il momento è l'unica cosa da fare per guadagnare qualcosa", racconta a Fanpage.it Umberto Pavano. "Abbiamo anticipato tutti gli stipendi al personale per non aspettare i tempi della cassa integrazione e, con un po' di diplomazia da parte dei fornitori, stiamo andando avanti. In questo periodo abbiamo cucinato per medici e infermieri degli ospedali ed è stata un'esperienza bella e forte. Ora vogliamo ripartire". Quando riaprirà, il loro locale avrà solo la metà dei 55 coperti che c'erano prima. "Siamo pronti a reinventarci, non vogliamo stare fermi ad aspettare che la soluzione cada dal cielo", spiega il ristoratore, "il problema principale è che è tutta un'incognita, non sappiamo a cosa andiamo incontro".

Mascherine e guanti sì, "ma i locali non dovranno sembrare sale operatorie"

Ma nella rinascita – almeno parziale – della movida milanese giocheranno un ruolo importante i clienti. Il loro comportamento sarà decisivo. Da un lato dovranno superare la sensazione di paura che in Lombardia ancora è fortissima. Dall'altro imparare a essere pazienti e dare una mano. "Riducendo i posti ci sono due vie possibili: alzare i prezzi, oppure aumentare la frequenza del ricambio di clienti. Sestare seduti al tavolino due ore ordinando un caffè sarà un comportamento da evitare, se non si vuole mettere in crisi i locali", avverte Ferrari. A trasformare la vita sociale saranno però sopratutto i dispositivi di sicurezza, necessari per salvaguardare la salute. "Dovremo a ogni costo evitare uno scenario apocalittico. Chi vorrebbe sedersi al ristorante ed essere servito da un cameriere con la maschera anti gas? Le soluzioni ci sono. Usare un guanto nero elegante, una mascherina coerente con identità del locale: insomma, cercare di rilassare il clima. Senza un ambiente amichevole viene meno l'essenza stessa della ristorazione. I locali non dovranno sembrare una sala operatoria".

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