La procura archivia il caso Daniela Roveri: non sapremo mai chi è l’assassino
Sgozzata con chirurgica precisione da qualcuno che l'aspettava nell'androne di casa, a pochi passi dall'ascensore. Qualcuno che ne aveva osservato le abitudini, studiato i movimenti, qualcuno che nell'ombra alimentava contro di lei odio e vendetta. Qualcuno di cui non conosceremo mai il nome, perché la Procura di Bergamo ha deciso di archiviare le indagini sulla morte di Daniela Roveri, la manager uccisa il 20 dicembre del 2016, esattamente tre anni fa, nel privato del suo condominio nel quartiere Keplero di Bergamo. Sgozzata con un temperino.
C'è un DNA, ma in questi tre anni il profilo genetico non è risultato compatibile con nessun soggetto sospettato. In realtà il problema di questo caso unico e anomalo, è che scavando a fondo nella vita della 48enne single che viveva con la mamma, non sono emersi profili di interesse investigativo, in poche parole gli inquirenti non hanno trovato nessuno che avesse movente e opportunità per ucciderla. Non che la vita di Daniela fosse piatta, no. Dirigente di un'azienda meccanica, la ‘Icra' S.p.a., che produce materiali per il trattamento di ceramiche, ricopriva un ruolo di responsabilità. Usciva con un uomo (purtroppo per lei, già impegnato), si allenava in palestra, viaggiava. Conduceva una vita normale fino al giorno in cui ha trovato un killer nell'androne del suo palazzo. Ha lottato, Daniela, perché il DNA conservato dagli inquirenti è stato prelevato sotto le sue unghie e sulla sua guancia, ma non ha potuto salvarsi la vita.
A scoprire il corpo quella sera, pochi minuti dopo che Daniela l'aveva chiamata perché spostasse l'auto e lei potesse parcheggiare la sua, è stata l'anziana madre, Silvia Arvati. Era ormai un'operazione rodata quella del parcheggio, avendo un solo posto, auto, così quando ha visto che sua figlia tardava l'ha chiamata al cellulare. Niente, spento. È scesa in ascensore, e al pian terreno ha ritrovato sua figlia riversa nel suo sangue. È allora che l'allarme è stato dato e nonostante la velocità con cui si sono avviate le indagini borsa e cellulare di Daniela sono spariti. Qualcuno, mesi dopo, quando cominciava a palesarsi la totale assenza di una pista investigativa, ha ipotizzato il collegamento con l'omicidio di Gianna Del Gaudio, la professoressa uccisa con un fendente mortale al collo, a Seriate, il 26 agosto 2016. Anche questa pista, però, porta in un vicolo cieco, tanto che a processo per il delitto ci è finito il marito di Gianna, il sannita Antonio Tizzani.
E allora di nuovo si è ravanato nella vita di Daniela, dagli screzi coi vicini che, come Olindo e Rosa insegnano, non sono mai banali come sembrano, agli amori irrisolti, fino alle antipatie lavorative, per tonare nuovamente al principio. E se fosse stato un errore di persona? Se non fosse stata Daniela l'obiettivo del killer, frugare nella sua vita non avrebbe senso e infatti, la Procura ha smesso. Forse un'indagine diversa, su altri casi e crimini, più avanti, porterà gli inquirenti sulla strada della verità per la morte di Daniela. Intanto a chi l'ha amata tocca tenersi stretta la sua foto e continuare a domandarsi cosa gli è sfuggito, i questi lunghi tre anni.