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Covid 19

Coronavirus, la quarantena in un quartiere popolare di Milano: “Chiuso per ordinanza ingestibile”

Bar chiusi oppure a mezzo servizio. File fuori dai negozi lungo i marciapiede. Pizzerie aperte, ma solo da asporto. La “quarantena” imposta a Milano e a tutta la Lombardia dal decreto governativo dell’8 marzo ha stravolto la vita dei quartieri. Alla periferia nord della metropoli, in uno degli storici borghi popolari, ognuno si è organizzato come ha potuto. C’è chi ha scelto di andare in ferie, chi ha abbassato le serrande per protesta contro “un’ordinanza ingestibile”. Il panettiere ha tracciato linee per terra e fa schierare i clienti in rigoroso ordine. Il fruttivendolo scherza: “Venite signore, tanto ce lo prendiamo tutti”. La custode delle case comunali dirige il traffico con la scopa in mano: “Non vi fermate in portineria o vi devo cacciare”.
A cura di Simone Gorla
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Il quartiere dove vivo da quasi tre anni, alla periferia di Milano, è un piccolo mondo appartato. Lo frequento da tutta la vita, perché qui hanno vissuto i miei nonni. È un posto speciale, una sorta di borgo dentro la metropoli. I negozi sono gli stessi da trent'anni. Qualcuno ha cambiato gestione, ma sono una minoranza. La gente si conosce, si ferma tutte le mattine a parlare fuori dal portone, al bar o all'angolo della strada. Pratocentenaro, uno dei quartieri più antichi della città, è un posto un po' speciale. Dove nulla sembra cambiare mai, nella Milano che cambia sempre.

Eppure… lunedì mattina per la prima volta qualcosa è cambiato, visibilmente. Sono passate 24 ore della firma del decreto del presidente del Consiglio che ha istituito regole speciali e limitazioni ferree in tutta la Lombardia per limitare la diffusione del coronavirus. Gli spostamenti devono essere ridotti al minimo. Si esce di casa solo per andare al lavoro, per urgenze e motivi di forza maggiore. Si può andare a fare la spesa e in farmacia, ma nei negozi gli ingressi devono essere contingentati. La verità, però, è che i milanesi non hanno ancora ben chiaro cosa sia successo. Tutti si chiedono cosa sia lecito fare e cosa sia vietato. Posso andare a trovare i parenti? A fare colazione al bar? A mangiare in pizzeria?

Nell'incertezza, il quartiere si è organizzato. Ognuno a modo suo. C'è chi ha reagito in modo radicale e chiuso il negozio. I primi sono stati i commercianti cinesi. Un bar e una cartoleria hanno già abbassato le serrande da giorni. “In merito alla situazione attuale abbiamo deciso di sospendere l'attività per dare un contributo alla comunità e ridurre al minimo la possibile diffusione della malattia”, spiega il cartello affisso sulla vetrina vuota.

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Alcuni locali sono aperti, ma non tutti. Il bar tabacchi all'angolo di viale Fulvio Testi oggi è chiuso, con grande sorpresa degli avventori abituali. Non capita quasi mai. Il titolare ha messo nero su bianco le sue ragioni, senza nascondere la sua rabbia: “Il bar rimarrà chiuso dal 9 al 15 marzo a causa dell'ingestibile ordinanza. A presto, (spero)”, ha scritto in un avvito alla clientale. “Hai visto, ha scritto ‘spero'. Se la fa sotto anche lui”, ridacchia un passante.

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Anche un'altra istituzione è costretta a ridurre l'attività. La pizzeria “Pratocentenaro” è una certezza. È aperta sempre, tutto l'anno. Anche a Natale, Pasqua e Ferragosto. A pranzo è affollata di lavoratori e impiegati, a cena di famiglie e comitive di amici. Specialità da asporto: pizza al trancio e pollo arrosto.

“A pranzo restiamo aperti sicuramente, ovviamente rispettando le distanze di sicurezza. La sera possiamo fare da asporto. Stiamo valutando però se tenere aperto anche questo solo nel weekend”, spiegano i dipendenti ai clienti affezionati. “Venerdì, sabato e domenica dalle 18 alle 21. Inutile andare avanti fino a mezzanotte. Non riusciamo a capire bene come vada interpretato il decreto, ci stiamo organizzando. Volevamo attrezzarci per fare consegne a domicilio, ma non l'abbiamo mai fatto finora”.

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Le due macellerie della zona sono entrambe aperte, con i giusti accorgimenti. Ci si mette in coda fuori dalla porta, biglietto alla mano. “Cerchiamo di dare un senso e un ordine alla cosa, mantenere le distanze. Si entra al massimo in tre per volta. Ma restiamo aperti sempre e comunque”, assicura il commesso.

Dal panettiere il sistema è più elaborato. Per terra sono comparse delle strisce nere. Una specie di griglia di partenza in stile Formula 1. Ognuno attende al suo posto, ben distanziato. “Scusate, aspettate là dietro. Occupate fino all'ultima postazione libera, poi dovete stare fuori”, indica la titolare a un gruppetto di avventori. Da oggi tutti i dipendenti indossano la mascherina. “Ci è arrivata l'ordinanza, dice di mettere maschere e guanti”.

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Ma c'è anche chi si mantiene più rilassato. Il fruttivendolo, per esempio, invita un paio di clienti a entrare. Le signore si erano posizionate fuori in prudente attesa. “Venite, venite. Tanto siamo già contagiati”, scherza. Poi si fa serio: “Certo che dobbiamo stare attenti. Ma se le merci possono circolare, gli autisti portano in giro il virus, no? C'è da preoccuparsi”.

Sì, c'è da aver paura. Sono tutti d'accordo nel quartiere. Eppure la vita va avanti. Nessuno si è chiuso in casa, ma tutti iniziano a stare attenti. Persino la custode si fa severa: “Non fermatevi a parlare in portineria, altrimenti vi devo cacciare”, minaccia brandendo la scopa.

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