Coronavirus, il racconto di Michela: “Mia madre prelevata dal 112, poi non ho più avuto sue notizie”
La storia di Michela inizia giovedì 12 marzo quando sua madre viene prelevata dal 112 per essere portata in ospedale a Lodi, così come da protocollo nei casi di coronavirus, suo padre è morto i primi giorni di marzo, era positivo al Covid-19. Sono le 16 quando la donna saluta sua mamma in attesa di sapere dove verrà portata: le prime informazioni però le riceverà solo dopo due giorni. Solo il sabato successivo infatti, il 14 marzo, Michela riesce a sentire telefonicamente la madre che la chiama dall'ambulanza per dirle che la stanno trasferendo dall'ospedale di Lodi a quello di San Donato.
C'è una forte mancanza nella comunicazione tra famigliari dei pazienti e ospedali
Per oltre 48 ore però Michela non ha saputo nulla della madre, di come stesse, di dove fosse, di cosa le fosse accaduto: al pronto soccorso infatti lei non è potuta andare, "è vietato", le hanno detto, per questo con grande sacrificio e responsabilità ha seguito le regole. Qualcosa però è andato storto, perché nessuno le ha saputo dire cosa fosse accaduto alla madre. "Quello che è accaduto a me è un pezzetto di una grande storia che ci sta travolgendo e riguarda la comunicazione tra i parenti dei malati e gli ospedali – spiega Michela – da noi ci sono persone che non sanno dove vengono portati i propri cari malati una volta entranti in pronto soccorso, c'è chi aspetta giorni prima di avere notizie". Michela racconta a Fanpage.it che il suo vuole essere un appello affinché questo aspetto così importante non venga dimenticato nonostante la grande emergenza che stiamo vivendo: "So che in Emilia Romagna hanno istituito un centralino a cui i parenti dei pazienti ricoverati possono rivolgersi per avere informazioni sui propri cari – spiega – so che siamo in un momento di difficoltà. Chiedo solo che si possano sapere le condizioni di salute dei famigliari. Se non fosse stata mia mamma con il suo telefonino a chiamarmi per dirmi dove era diretta forse non avrei saputo questo informazioni da nessun altro".
Quando salutiamo i nostri cari non sappiamo se e dove potremo vederli
Il problema secondo Michela, che dice di rappresentare un vasto numero di persone che hanno vissuto la sua stessa esperienza riguarda il trasferimento dal pronto soccorso all'ospedale dove poi i pazienti vengono dislocati: "Quando salutiamo i nostri cari è straziante perché non sappiamo se e quando potremo rivederli – racconta la donna – e questo tipo di mancanze sono vissute dalle persone a casa con grande ansia. Ed è un aspetto della vicenda che non va trascurato: da giovedì alle ore 16 e fino al sabato alle ore 16 io non sapevo cosa fosse accaduto a mia madre". E poi il ringraziamento ai medici che si sono presi cura della madre e la tengono informata sulle sue condizioni di salute, aggravando ancora una volta il loro compito: "È la struttura che dovrebbe pensare a un servizio di questo genere: non deve essere il medico che ha visitato mia mamma a dovermi chiamare. Mi rendo conto che gli ospedali sono allo stremo e le condizioni di lavoro pesantissime ma bisogna pensare anche ai famiglia che vivono la tremenda sensazione di essere abbandonati a loro stessi".