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Cinque anni di processo e 18 magistrati coinvolti: tutto per aver sparato a un piccione

Da Milano un caso esemplare sulla lentezza della giustizia in Italia. Dal 6 giugno 2010 al 30 giugno 2015, cinque anni di processi e ricorsi vedono protagonista un avvocato milanese di 50 anni. La sua colpa? Aver sparato e ucciso un piccione.
A cura di Federica Gullace
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Anni di sentenze e decine di persone coinvolte tra avvocati, giudici e magistrati. Tutto non per un brutto caso di cronaca nera, ma per rendere giustizia alla morte di un piccione, ucciso nel 2010 con un colpo di fucile da un avvocato milanese di 50 anni. La vicenda ha inizio il 6 giugno di quell’anno, quando il legale, affacciatosi dalla finestra della propria villetta, nella zona est di Milano, con il suo fucile ad aria compressa sparò un colpo contro il volatile, che cadde privo di vita nel giardino dei vicini. Furono proprio loro a chiamare i carabinieri, denunciando il 50enne e accusandolo di praticare l’ignobile attività da almeno due anni. Arrivati nell’abitazione, i militari trovarono l’uomo in un evidente stato di ebbrezza alcolica: l’avvocato si giustificò sostenendo che fosse a causa di uno di quei volatili che suo figlio anni prima si era ammalato, entrando in coma.

Il processo

Da quel giorno, ha inizio l’ingarbugliato iter processuale: dopo essere stato accusato dal pubblico ministero di uccisione di animali con crudeltà e getto pericoloso di cose, riferendosi al proiettile, in luogo privato di uso altrui, il giudice per le indagini preliminari Bruno Giordano emise un decreto penale, condannando l’avvocato a 8mila euro di multa. Il reo confesso, però, proprio non accettò, opponendosi e chiedendo di essere giudicato con rito abbreviato. Ma le cose non andarono come egli immaginava: dopo due anni, il 6 marzo del 2012, il giudice Andrea Ghinetti condannò l’avvocato ad un mese e 20 giorni di arresto, con la condizionale. Decisione questa che mandò su tutte le furie il 50enne che, senza mollare la presa, avvalendosi di ogni suo diritto decise di proporre appello. I suoi difensori infatti replicarono alla decisione del giudice sostenendo che non ci fossero prove: "Le prove erano insufficienti, nessuno ha visto sparare, i carabinieri non hanno redatto un verbale per constatare lo stato del piccione. Poi chi l’ha detto che l’uccello è stato ucciso dal proiettile? Non potrebbe essere che si è fatto male da solo andando a sbattere contro un ramo? E se fosse davvero morto per cause naturali? E la confessione? Inutilizzabile, perché resa senza la presenza di un avvocato".

Nonostante questo, il processo d’Appello, svoltosi l’ 8 ottobre 2012, riconfermò la condanna. Passano altri 16 mesi e si arriva così al 30 gennaio 2015, dove tre giudici e il sostituto procuratore generale Gaetano Amato Santamaria, per l’ennesima volta si ritrovano ad analizzare la sorte dell’animale, finendo ad approfondire addirittura se "il getto pericoloso potesse riguardare la caduta del corpo stesso del piccione ferito e agonizzante precipitato tra le persone e non il pallino che lo ha trapassato ad un’ala". Insomma, dopo quasi 5 anni e 18 magistrati occupatisi della morte di un piccione, in una serie interminabile di processi, ora si attende ancora la sentenza: senza dimenticare però la possibilità di un ricorso in Cassazione.

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