Bergamo, Yaye è morta a 31 anni poco dopo l’arrivo in ospedale: era incinta di pochi mesi
Oggi avrebbe compiuto 32 anni Yaye Mai Diouf ma è morta nella notte tra il 21 e il 22 marzo scorso a Pontida, in provincia di Bergamo, doveva viveva da tempo. Senegalese, Yaye era giunta in Italia dieci anni fa, e qui aveva creato la sua famiglia, col marito Daouda Timera col quale aveva avuto un figlio che ora ha due anni e dal quale aspettava un altro bambino. Era incinta Yaye quando è morta: secondo il racconto del fratello della donna, Omar, giunto nel 2002 in Italia, Yaye da una settimana aveva febbre e tosse, che però non facevano pensare a nulla di grave. Tant'è che si erano sentiti poche ore prima che stesse male e stava bene. Poi l'improvviso peggioramento e la chiamata al 118: in attesa dell'arrivo del personale sanitario Omar racconta che la sorella avrebbe perso i sensi dopo aver lamentato forti dolori: "I medici dell’ambulanza hanno cercato di rianimarla e l’hanno portata in ospedale, ma dopo un paio d’ore ci hanno chiamato per comunicarci che non ce l’aveva fatta".
Stava bene, poi l'improvviso peggioramento
Una morte che ha sconvolto l'intera comunità di Pontida dove la donna lavorava e i colleghi dello stabilimento Brembo di Curno, dove lavorava come operaia. La donna stando a quanto dichiarato dai medici dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo era positiva al Covid-19: in molti inizialmente, tra amici e parenti, hanno accusato la lentezza nei soccorsi che avrebbero tardato a raggiungere l'appartamento a Pontida dove Yaye viveva col marito che l'aveva raggiunta in Italia lo scorso anno. Tutti continuano a ripetere che la donna stava bene. Di fatti Yaye è la vittima più giovane di Bergamo e non sarebbe l'unica persona di quell'età ad aver contratto il virus così come spiegato dal dottor Luca Lorini a capo del dipartimento di Emergenza, urgenza e area critica dell'ospedale di Bergamo.
A Bergamo vittime sempre più giovani
"C'è una popolazione di pazienti estremamente giovane, parlo di trentenni e trentacinquenni, che sviluppa la malattia in una forma molto grave – ha raccontato Lorini a Corsera – abbiamo iniziato a riceverli più o meno dalla metà di marzo. Se qualcuno afferma di sapere il perché, oggi, dice una bugia. Per ora possiamo solo fare ipotesi". Secondo Lorini la prima è che grazie alla loro giovane età questi pazienti abbiano resistito più a lungo e che poi siano arrivati in ospedale ormai molto compromessi. La seconda, che forse è la più probabile, è che in alcuni giovani il virus scateni una reazione iperimmune, una reazione spropositata che è peggio del virus, un po’ come avviene in chi rigetta il trapianto, infine l'ultima ipotesi è che ci siano varianti del virus, qualche ceppo diverso, ancora da capire.