Bergamo, il militare che guidò un camion con le bare: “Ci ho messo l’anima, sono una parte di me”
"Pagherei oro per conoscere tutti i parenti delle otto persone e potergli dire che nonostante il contesto non avrebbero potuto fare un viaggio migliore". Lo ha scritto uno dei militari che la notte tra il 18 e il 19 aprile trasportarono le bare di decine di persone morte di coronavirus a Bergamo in una drammatica processione di mezzi pesanti, la cui immagine ha fatto il giro del mondo.
La lettera del militare che guidò un camion con i feretri
In una lettera condivisa alla vigilia dell'inizio della "fase due" dell'emergenza, Tomaso Chessa, che era al volante di uno dei camion dell'esercito, ha condiviso il suo ricordo e le sue emozioni. "Essere alla guida di un camion, una giornata qualunque dove il pensiero ti porta oltre la tua quotidianità. Tu guidi, scambi due chiacchiere con il collega dalla parte opposta della cabina, ma quando per forza di cose, per un istante il silenzio rompe tua routine, il tuo pensiero si posa su di loro, realizzi che dentro quel camion non siamo in due, ma in sette, cinque dei quali affrontano il loro ultimo viaggio", riflette il militare. "Ti rendi conto di essere la persona sbagliata, o meglio, qualcuno doveva essere al posto tuo, ma purtroppo tocca a te… ed è li che sentì addosso quella grande responsabilità, qualcosa che ti preme dentro, ogni buca, ogni avvallamento sembra una mancanza di rispetto nei loro confronti".
"Ci ho messo l'anima, spero di conoscere un giorno i loro cari"
Alla fine di quel viaggio straziante tutto sembra diverso. "Il tuo ‘carico' oramai fa parte di te, come se ti togliessero una parte di cuore, ed è li che cerchi di capire l'identità del tuo compagno di viaggio". Ma nei giorni dell'emergenza, anche trovare un nome può essere un'impresa disperata. "È una cosa difficilissima, delle otto persone che personalmente ho accompagnato, l'unico dei quali sono riuscito a risalite alla sua identità è il signor Guerra classe 1938", spiega il conducente. Chi augura "un giorno di poter conoscere i cari dei miei compagni del loro ultimo viaggio, ma se cosi non fosse sappiano che c'ho messo l'anima".
"La cosa che mi dispiace di più – è l'ultima riflessione, che è anche un monito – è che nonostante questo amici e famigliari continuano a non rendersi conto che tutto questo non è uno scherzo, la gente muore, chi non muore soffre. Abbiate la coscienza ed il buon senso di tutelare i nostri cari, che hanno la fortuna di vivere in posti più sicuri, ma non dimenticate che sbagliare è un attimo".