Terrorismo, i giudici: “I jihadisti bresciani erano determinati ad ammazzare in Italia”
Lo scorso 25 maggio sono stati condannati a 6 anni di carcere dal tribunale di Milano. E adesso arrivano le motivazioni della sentenza per i "terroristi della porta accanto", come sono stati soprannominati il tunisino Lassaad Briki e il pakistano Muhammad Waqas, arrestati nel luglio dello scorso anno. Secondo i giudici della Prima Corte d’Assise di Milano i due "erano determinati ad ammazzare in Italia". Non degli improvvisati jihadisti, come magari potevano lasciare intendere gli ormai famosi selfie di propaganda e minacce davanti al Duomo di Milano e al Colosseo di Roma. In realtà i due, che in alcune intercettazioni telefoniche progettavano di compiere attentati alla base Nato di Ghedi, erano dunque pronti a dare il proprio contributo all'Isis con le loro azioni individuali.
D'altronde, nelle motivazioni dei giudici si evidenzia proprio come, data l'importanza dell’azione individuale per creare terrore nella strategia della rete terroristica messa in piedi dall'Is, sia "fuorviante e scorretto ragionare con le categorie pensate per le ‘comuni' associazioni per delinquere". Secondo i giudici per l'Isis "è sufficiente che il partecipe si metta a disposizione della rete per attuare il disegno terroristico, o che, più semplicemente segnali ad essa i propri progetti criminosi affinché questa li possa rivendicare". Condizioni che sussistono nel caso del 36enne Briki e del 28enne Waqas: i due volevano andare in Siria a combattere per lo Stato islamico perché se ne sentivano parte. "Il loro agire – scrivono i giudici – anche estremamente estemporaneo ed isolato, sarebbe stato facilmente riconducibile allo Stato Islamico e da esso certamente rivendicato".