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Le mani della ‘ndrangheta su Expo e centro commerciale di Arese: sequestro da 15 milioni

La Dda di Reggio Calabria ha sequestrato beni per 15 milioni di euro a personaggi legati a due cosche di ‘ndrangheta della Locride. Ci sono anche società che hanno ottenuto appalti per i padiglioni di Cina ed Ecuador di Expo e per il centro commerciale di Arese. L’indagine è il proseguimento dell’inchiesta “Underground” della Dda milanese che ha già portato a 14 arresti a inizio ottobre.
A cura di Francesco Loiacono
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Da Milano a Reggio Calabria. Un filo rosso lega i 14 arresti di inizio ottobre per presunte tangenti in sub-appalti in Lombardia con un sequestro di beni di 15 milioni di euro chiesto e ottenuto dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Beni, come appartamenti, locali, mezzi di trasporto e conti correnti, sparsi tra la Calabria, Sicilia, Emilia Romagna e Lombardia e tutti, secondo gli inquirenti, riconducibili alle due cosche di ‘ndrangheta degli Aquino-Coluccio e Piromalli-Bellocco, rispettivamente di Marina di Gioiosa Jonica e Rosarno.

Proprio la mafia calabrese secondo la Dda reggina avrebbe allungato le proprie mani anche su due importanti opere costruite nell'hinterland di Milano: l'Expo e il centro commerciale di Arese, "Il Centro". Sotto sequestro sono finite infatti società che avevano vinto appalti per il mega shopping center e per alcune commesse dell'Esposizione universale: i padiglioni di Cina ed Ecuador e la piastra dell'Expo. Ma i lavori pubblici su suolo lombardo in cui la ‘ndrangheta si sarebbe infiltrata comprendono anche un subappalto per Ferrovie Nord, il consorzio di Bereguardo e altri appalti ancora.

A inizio ottobre già 14 arresti da parte della Dda milanese

I sequestri odierni sono il proseguimento dell'inchiesta "Underground" condotta dalla Dda di Milano. Già le indagini del pubblico ministero Bruna Albertini, coordinate dal capo della Dda milanese Ilda Boccassini, avevano rivelato l'infiltrazione di personaggi legati alla ‘ndrangheta in alcune aziende assegnatarie di importanti commesse in Lombardia. I principali nomi che compaiono nelle carte dei magistrati sono quelli di Pierino Zanga, Salvatore Piccoli e Antonio Stefano. Il primo, imprenditore di discreto successo, avrebbe chiamato nelle sue aziende Piccoli e Stefano, cedendo poi a una terza azienda, la Infrasit (gestita materialmente da Piccoli), importanti commesse pubbliche.

Piccoli è considerato un gregario di Stefano: sarebbe lui la mente dietro le diverse operazioni. Antonio Stefano è il genero di Vincenzo Macrì, personaggio di spicco della cosca Aquino-Coluccio, deceduto nel 2010, ed è considerato l'uomo di riferimento del boss Giuseppe Coluccio. Nel tempo, Stefano si sarebbe convertito ai traffici di droga che dalla Calabria si ramificano in tutto il mondo: i proventi illeciti sarebbero stati reinvestiti anche per entrare nella gestione di imprese in difficoltà del Nord Italia, finendo con l'assumerne il controllo. Un meccanismo ormai ben noto ai magistrati che indagano sulle infiltrazioni mafiose al Nord.

Gli inquirenti indagano anche all'estero

L'operazione della Dda reggina, dal nome "Rent", ipotizza per gli indagati i reati di associazione di tipo mafioso, riciclaggio, estorsione, induzione alla prostituzione, detenzione illecita di armi da fuoco, con l’aggravante del metodo mafioso. Oltre alle diverse province italiane coinvolte, c'è anche un risvolto internazionale: gli inquirenti hanno monitorato difatti i lavori per la realizzazione di un complesso turistico-sportivo, in località Arges Pitesti (Romania) e nel resort Molivisu, per un valore complessivo di 80 milioni di euro di cui 27 a carico dell’Unione Europea, nonché di un immobile in Marocco.

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