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Denaro sporco dai money transfer di Milano in Cina: scoperto riciclaggio da 2,7 miliardi

La procura di Milano ha scoperto un presunto maxi-riclaggio di denaro sporco da 2,7 miliardi di euro. Si tratterebbe di soldi provenienti da attività illecite svolte da una parte della comunità cinese in tutta Italia, e poi fatti transitare in Cina attraverso money transfer abusivi localizzati in gran parte a Milano e da società con sede a Londra. L’inchiesta ha portato a un fermo e due arresti. Perquisizioni a Milano e Roma.
A cura di Francesco Loiacono
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Una veduta di via Paolo Sarpi a Milano (Archivio)
Una veduta di via Paolo Sarpi a Milano (Archivio)

La procura di Milano ha scoperto un presunto maxi-riclaggio di denaro sporco, per la somma monstre di 2,7 miliardi di euro. I soldi deriverebbero dalle attività illecite di una parte della comunità cinese di tutta Italia, che avrebbe creato e usufruito di una vera e propria organizzazione criminale per trasferire in patria il denaro, facendolo transitare da agenzie abusive di money transfer e altre società. Mentre queste ultime sarebbero localizzate a Londra, secondo gli inquirenti sarebbe Milano il fulcro dell'attività illecita dei money transfer abusivi.

Al momento l'inchiesta, coordinata dai pubblici ministeri Grazia Colacicco e Giordano Baggio, ha portato al fermo di una persona originaria del Paraguay e agli arresti domiciliari per un italiano e un cinese. Le accuse per i fermati e altri indagati sono diverse: associazione a delinquere aggravata dalla transnazionalità, esercizio abusivo di attività finanziaria, abusiva prestazione dei servizi di pagamento, riciclaggio, autoriciclaggio e vari delitti tributari. Le indagini sono partite circa un anno fa, sulla base di segnalazioni su un sospetto riciclaggio e di un esposto anonimo. La polizia e la guardia di finanza hanno eseguito diverse perquisizioni nella zona di via Sarpi a Milano, nota come Chinatown (dove oggi un 32enne cinese è morto, probabilmente ucciso, colpito da un proiettile al petto mentre si trovava in casa) e a Roma. Secondo gli inquirenti gli indagati avevano creato una sorta di contabilità parallela che certificherebbe l'esistenza del maxi-riciclaggio.

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