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Cento lanterne bianche: fiaccolata in ricordo di Lea Garofalo

A cinque anni dalla morte di Lea Garofalo, uccisa dalla ‘ndrangheta per per essersi ribellata alle logiche mafiose della sua famiglia e di quella dell’ex compagno, il Comune di Milano e Libera organizzano una fiaccolata in sua memoria: partenza lunedì alle 20.30 dall’Arco della Pace.
A cura di Ester Castano
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Cento lanterne bianche in ricordo della testimone di giustizia che ha scontato con la morte l’essersi ribellata alle logiche mafiose della sua famiglia di ‘ndrangheta e dell’ex compagno. Nel quinto anniversario della morte di Lea Garofalo il Comune di Milano e il coordinamento milanese di Libera in collaborazione con Giardini in transito, Rete della conoscenza Milano, Anpi e con il patrocino del Consiglio di zona 1 hanno organizzato la fiaccolata "Vedo, sento, parlo". Parte lunedì dall’Arco della Pace di Piazza Sempione alle 20.30 e arriva al Giardino comunitario intitolato a Lea di viale Montello 3, nel quale sono stati installati tredici pannelli raffiguranti altrettanti articoli della Costituzione Italiana. La stessa via Montello fino al 2012 fortino di illegalità del clan Cosco, luogo da cui le ‘ndrine controllavano il racket delle occupazioni abusive controllate dalla criminalità organizzata. Un caso giudiziario dapprima ignorato dalla stampa nazionale: all’inizio del processo quella di una donna uccisa dalla ‘ndrangheta a Milano era considerata da giornali e televisioni una storia che non faceva notizia. Lea Garofalo, nata a Petilia Policastro nel 1974 e uccisa dalla ‘ndrangheta a Milano il 24 novembre 2009, aveva voltato le spalle al compagno ed era passata dalla parte dello Stato per dare un futuro alla figlia Denise e farla crescere lontano dall’illegalità. Ma per le testate giornalistiche "non era un titolo", come si dice in gergo. Ci vorranno quasi quattro anni e l’arrivo delle condanne a maggio 2013 per imprimere nelle coscienze dei milanesi la colpa di aver sottovalutato la ferocia della criminalità organizzata di stampo mafioso. Una mafia, quella calabrese, che nella capitale morale del paese non solo fa affari con traffici illeciti manomettendo l’economia legale, ma anche uccide.

La storia di Lea Garofalo

È grazie alla determinazione di cronisti come Marika Demaria che la storia di Lea esce dall’aula di tribunale per entrare nelle coscienze dei milanesi. "Quando ho preso parte alla prima udienza, il 6 luglio 2011, come giornalista di Narcomafie, come coordinatrice di Libera in Val d’Aosta, ma in primis come cittadina, ho capito subito che quel processo bisognava viverlo. Perché la storia di Lea rischiava di essere dimenticata", afferma. Una storia che rischiava di essere dimenticata, come racconta la giornalista che nel 2013 per Melampo pubblica "La scelta di Lea. Lea Garofalo. La ribellione di una donna della ‘ndrangheta". Una storia che rischiava di fagocitare la piccola Denise, figlia dell’amore nato fra Lea e quello che diventerà carnefice per entrambe le donne: Carlo Cosco. Di lasciarla sola in preda alla depressione e allo sconforto emotivo. Una ragazzina di poco più di sedici anni che da un giorno all’altro si ritrova costretta a trasferirsi in località protetta e a vivere sotto scorta, colpevole di conoscere il nome degli assassini della madre. Capace di recarsi in tribunale per accusare il padre Carlo Cosco e i suoi compaesani calabresi trasferiti al Nord Italia di aver organizzato e messo in atto un crimine così efferato: rapire sua madre, strangolarla e bruciare il corpo affinchè del cadavere rimanesse soltanto cenere. Bisognava far sparire le prove e a Milano, il metodo usato dai clan della ‘ndrangheta, è il fuoco: brucia il ventre, brucia il volto, bruciano mani e piedi. Rimane però intatto un pelo pubico: un indizio, un resto del corpo di Lea mangiato dalle fiamme utile per la difesa in tribunale e che aiuterà gli inquirenti a risolvere il caso e individuare mandanti ed esecutori materiali.

Frequentando quell’aula corta e stretta con le gabbie bianche un gruppo di studenti dei licei milanesi e dell’università decidono di costituire il presidio Libera "Lea Garofalo". "Durante le udienze da dietro le sbarre Cosco e i suoi uomini, fra cui il fidanzatino di Denise, ridacchiavano e sghignazzavano; i loro familiari, parenti di Lea e quindi anche di Denise, parlottavano fra loro incitando gli inputati a non perdersi d'animo, insultando la giustizia. Non eravamo mai entrati in un tribunale, né avevamo mai avuto a che fare con dei magistrati, ma tre anni fa, dopo essere venuti a conoscenza di questa storia, abbiamo deciso tutti assieme che il nostro compito era quello di mostrare solidarietà nei confronti di una nostra coetanea che in un mondo adulto di violenza e prepotenza testimoniava contro il padre mentre i suoi familiari se la ridevano con tracotanza, dentro e fuori dalla gabbia dell'aula di tribunale. E così, spontaneamente, è nato il presidio Libera ‘Lea Garofalo'. Per stare accanto a Denise in quell'aula in cui i sorrisi rabbiosi dei suoi familiari stavano uccidendo sua madre per una seconda volta", racconta Marilena Teri del presidio. Studentessa di Fisica, oggi è al primo anno della magistrale e al tempo dell’inizio del processo aveva appena terminato il liceo. Come lei, nessuno dei ragazzi del presidio si sarebbe mai immaginato dell’importanza del loro ruolo per la piccola Denise e per l’intera città, tanto che nel 2012 il gruppo antimafia ha ricevuto dal Comune di Milano l'Ambrogino d’Oro, massima onorificenza cittadina. Gli appelli e le manifestazioni pacifiche del presidio di Libera "Lea Garofalo" sotto le sedi delle istituzioni sono servite a far fissare un calendario di udienze prima che scadessero i termini di custodia cautelare.

Lea Garofalo: dall'oblìo ai funerali pubblici

Una storia, quella di Lea, che si lega al racket che sta dietro a una parte delle occupazioni abusive milanesi di cui tanto si discute in questi giorni: "Lea è stata uccisa non in Aspromonte ma a Milano, città in cui nel 2010 sindaco di centrodestra e il prefetto Gian Valerio Lombardi – attuale presidente di Aler che gestisce gli alloggi popolari, ndr – garantivano pubblicamente che la mafia e in special modo la ‘ndrangheta non esistessero. La stessa Milano che per quarant'anni ha permesso che lo stabile di viale Montello venisse occupato in maniera abusiva dai Cosco, che per di più lo utilizzavano come base per i propri traffici illeciti e subaffitavano, in maniera altrettanto illegale, gli appartamenti a persone che invece ne avevano diritto, essendo quegli appartamenti di edilizia residenziale pubblica", dichiara la giornalista Marika Demaria. L'espugnazione del fortino dei Cosco di via Montello è arrivata solo nel 2012 con la Giunta Pisapia grazie alla Commissione Antimafia del Comune di Milano, città che fino a pochi mesi prima non riconosceva il radicamento della criminalità organizzata. L'amministrazione di centro sinistra, oltre a costituirsi parte civile al processo, ad ottobre 2013 ha tributato i funerali pubblici di Lea Garofalo in piazza Beccaria dedicando alla donna un posto all'interno del cimitero monumentale, riconoscendo grande la figura e l’esempio di Lea Garofalo. Milano che lo scorso anno ha premiato Denise con l'Ambrogino d'Oro e, l'anno prima, i ragazzi del presidio. In silenzio, ascoltavano accusa e difese, facendo sentire la propria vicinanza a Denise. Non potevano rivolgerle la parola, e nemmeno vederla in faccia. Ma le scrivevano biglietti e la giovane ha più volte ricambiato la corrispondenza ringraziando il gruppo per la vicinanza. "La meraviglia, il miracolo compiuto dal coraggio di queste due donne è stato che la coscienza civile è cresciuta, soprattutto tra i ragazzi. I ragazzi del presidio di Milano sono la prova che ognuno può e deve fare la propria parte, che è possibile il cambiamento. C'è però ancora molta strada da fare, basta considerare il fatto che non ci sono state condanne per 416 bis e che l'aggravante ex articolo 7 non è stata applicata fin dalla prima udienza".

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